Pietro Valsecchi (foto LaPresse)

dopo il caso Kaufmann

“Tax credit? Fondi solo a chi ne ha titolo”. Parla il produttore Pietro Valsecchi

Marianna Rizzini

"Un’aliquota al 40 per cento, introdotta per l’emergenza Covid, è diventata un’attrattiva per qualsiasi avventuriero o velleitario. Serve equilibrio tra incentivo e controllo. Non si tratta di escludere, ma di proteggere il sistema da chi lo mina dall’interno”, dice il produttore cinematografico e televisivo

La cronaca nera – ovvero il caso di Francis Kaufmann, sedicente regista americano, sospetto autore del duplice omicidio di Villa Pamphili e destinatario di oltre 800mila euro per un film mai realizzato – e le nuove regole che integrano la riforma del tax credit. Ferma restando la necessità di un sistema di credito d’impostaper l’industria cinematografica, il caso Kaufmann ha sollevato nel settore dubbi su un possibile problema retrospettivo di maglie troppo larghe. “Nessun film fantasma potrà più approfittare delle risorse pubbliche. Basta sprechi e truffe: i soldi dei contribuenti andranno solo a chi fa davvero cinema”, ha detto ieri il ministro della Cultura Alessandro Giuli, alla Camera, durante il question time sulle misure di trasparenza e di controllo per l’accesso e l’utilizzo del tax credit. Ma che cosa ne pensa chi nel settore lavora da molti anni? “Il tax credit”, dice il produttore cinematografico e televisivo Pietro Valsecchi, “è uno strumento fondamentale, direi strutturale, per sostenere l’industria audiovisiva. Non è certo da mettere in discussione nella sua essenza: esiste ovunque, ed è indispensabile per chi lavora in modo serio e trasparente. Il problema, semmai, è garantire che venga usato da chi ne ha davvero titolo”.

 

Cosa si può fare? “Il caso Kauffman”, dice Valsecchi, “ha scoperchiato una falla che conoscevamo, ma che nessuno aveva voluto affrontare davvero: oggi le sanzioni previste per gli studi che certificano le produzioni in modo scorretto sono irrisorie – si parla di ventimila, trentamila, cinquantamila euro al massimo. Non sono un deterrente. Se cominciassimo ad applicare multe serie, da trecentomila o cinquecentomila euro, cioè una multa proporzionale al costo del film, il comportamento cambierebbe radicalmente. Bisogna introdurre un principio di responsabilità proporzionata all’accesso a fondi pubblici così rilevanti. Come dice giustamente Riccardo Tozzi, nella nostra ‘chat di cinema’, è il nostro mondo che deve iniziare a produrre i suoi anticorpi. La differenza vera è tra chi lavora in modo professionale e chi no. E su questo crinale bisogna costruire strumenti di autodifesa interna, come ad esempio l’idea – più che sensata – di un albo dei produttori. Oggi chiunque può definirsi ‘produttore’ o ‘rappresentante dei produttori’, ma spesso senza un curriculum reale alle spalle. Quali progetti hanno effettivamente prodotto? Qual è l’elenco delle opere? Per i nuovi arrivati si può pensare a criteri d’ingresso chiari, anche definiti con il contributo di autori e altri professionisti del settore”.

 

C’è anche un altro aspetto che il produttore Valsecchi sottolinea, dice, a costo di “suonare impopolare”: “Va detto con onestà che un’aliquota al 40 per cento, introdotta per l’emergenza Covid, è diventata un’attrattiva per qualsiasi avventuriero o velleitario. Serve equilibrio tra incentivo e controllo, tra apertura e selezione. Non si tratta di escludere, ma di proteggere il sistema da chi lo mina dall’interno”. Intanto, alla Camera, il ministro Giuli ha detto ieri che il ministero “ha avviato ulteriori controlli su circa duecento opere per le quali sono stati richiesti tutti i documenti contabili e fiscali; in presenza di ulteriori dubbi, si è proceduto alla consegna di circa la metà dei fascicoli alla Guardia di Finanza, con la quale il Ministero ha stipulato una apposita Convenzione”.

 

Giuli ha poi  sottolineato le ragioni dell’intervento sul tax credit: “Le agevolazioni previste dalla legge 220/2016 a sostegno del settore cinematografico e audiovisivo e, in particolare, il credito d’imposta, hanno contribuito nel corso degli anni alla crescita dell’intero mercato in termini culturali, economici,  industriali e occupazionali. Anche a seguito di un confronto costruttivo con gli operatori del settore e alla luce di un attento monitoraggio della spesa pubblica, questo governo ha ritenuto necessario razionalizzare i criteri di attribuzione delle risorse e degli incentivi, al fine di eliminare alcune distorsioni che si sono verificate in passato”.

 

Tra le principali misure adottate, “il divieto di sub-appaltare prestazioni o servizi a soggetti terzi; l’obbligo per i fornitori di servizi di  esplicitare il personale coinvolto in ciascuna prestazione; l’inserimento del titolo dell’opera nei documenti di spesa, pena l’ineleggibilità del costo; la possibilità per la direzione generale competente di effettuare valutazioni sulla congruità dei costi; l’inasprimento delle sanzioni a carico del revisore che effettua la certificazione del costo”. Ultimo (ma non ultimo): le previste misure di rafforzamento dei controlli sui flussi finanziari. 

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.