(foto Ansa)

Il caso

Il sentiero stretto di Meloni tra la Lega gelida sul riarmo e il Pd che non le dà sponde

Simone Canettieri

La premier alla Camera alle prese con il medio oriente assicura che gli Usa non hanno chiesto le basi in Italia, è preoccupata dall'attacco all'Iran e non cita Trump. La telefonata con Schlein di domenica non produce effetti in Aula 

Difende l’aumento delle spese Nato, anche se Matteo Salvini seduto accanto a lei non applaude mentre Guido Crosetto annuisce. Cerca un dialogo con il Pd che dia un senso alla telefonata di domenica con Elly Schlein, ma non è semplice. Giorgia Meloni alla Camera non si mette l’elmetto, questo sì. Anche nella replica evita toni e faccette, scene già viste in passato. Dice, la premier, che non è il momento della campagna elettorale perché la situazione è seria e grave.  Ai ministri, che la incrociano fuori e dentro l’Aula, ammette che è stata svegliata  alle due di notte di domenica.  Trump non l’ha avvisata del “martello di mezzanotte”. Neanche a lei. Meloni non cita Trump, ma si dice preoccupata da una situazione che si è aggravata. 

 

Allo stesso tempo la presidente del Consiglio critica il programma nucleare dell’Iran, come stigmatizza il comportamento di Israele a Gaza, senza citare Netanyahu, se non nella replica dopo le punzecchiature delle opposizioni. Per Meloni non è un passaggio semplice. Ecco perché l’altro giorno ha accolto con piacere la telefonata di Schlein, a cui ha assicurato la massima informazione nelle scelte future che prenderà. Tira aria di unità nazionale? Assolutamente no. Anche se in Transatlantico Guido Crosetto e il suo predecessore, Lorenzo Guerini, si confrontano con serenità. Anche se nei corridoi gli staff di Meloni   e di Schlein parlottano lontani da occhi indiscreti. Meloni capisce che non è tempo  di sponde delle opposizioni, nemmeno fra i dem. Ecco perché ribadisce che non sospenderà la cooperazione con Israele, nonostante le critiche su Gaza che non lesina. 
La premier cammina su un crinale accidentato. Assicura che al momento l’Italia non è coinvolta dalle iniziative militari americane contro l’Iran e che non è arrivata alcuna autorizzazione per il governo ad autorizzare le basi Usa e Nato qui nel nostro paese. Spiegando però che  semmai  dovesse essere l’ultima parola spetterà al Parlamento con un voto, non come ai tempi del governo D’Alema. Meloni si muove nelle contraddizioni della Camera, che albergano anche nella sua maggioranza. Per Giorgio Mulè che a nome di Forza Italia si incarica di dire che il re è nudo e che l’Italia ha bisogno di investire nella difesa perché ormai ha un’arma spuntata, c’è la Lega che su questo argomento proprio non ci vuole sentire. E allora il salviniano Alessandro Giglio Vigna torna a dire che il riarmo europeo favorirà la Germania, che non deve pesare sugli italiani, che Bruxelles ha fallito sull’Ucraina. Ad ascoltarlo a occhi chiusi potrebbe essere l’ intervento di un esponente del M5s. Situazione complicata, tanti equilibri da rispettare.  Dalle parole di Meloni non emerge un plauso a Trump per l’attacco all’Iran, anzi, Il Pd vola alto con Gianni Cuperlo e picchia ai fianchi con Peppe Provenzano. La questione ucraina scivola in secondo piano, un po’ in tutti gli interventi. Meloni la mette al centro, anche in ottica ricostruzione e annunciando il diciottesimo pacchetto di sanzioni, ma il dibattito non prescinde dal medio oriente in fiamme. Anche nella risoluzione di maggioranza, lavoro di cesello fino all’ultimo della coalizione. La giornata non si accende perché Meloni sembra evitare lo scontro frontale  e nemmeno cade alle provocazioni che spesso accendono questo appuntamento, con tanto di replica. C’è stanchezza. Matteo Salvini non è in Aula al momento della replica di Meloni. C’è il ministro Giancarlo Giorgetti, responsabile dell’Economia e di come si farà a raggiungere in dieci anni l’obiettivo Nato della spesa a 3,5 più 1,5. E’ un dibattito in apparenza scollato da quanto intanto sta accadendo nel mondo con la risposta dell’Iran. Si temono gli effetti dei cambi di regime, come spiega anche Maurizio Lupi di Noi moderati. L’Italia vuole negoziare e dialogare: l’apertura dell’ambasciata a Teheran è un piccolo caso. Perché   Antonio Tajani, impegnato a Bruxelles con i suoi colleghi europei che si occupano di esteri, vorrebbe tenerla ancora aperta per proteggere gli italiani. Meloni annuncia invece l’intenzione di volerla spostare in Oman. Fortuna le caramelle di Crosetto che fanno la spola sui banchi del governo più e più volte, passando dalla leader che in chiusura per non farsi mancare nulla cita Margaret Thatcher quando diceva che il   “ nostro stile di vita e i nostri valori  non sarà assicurato da quanto siano giuste le nostre cause,  ma da quanto è forte la nostra difesa”. La giornata non decolla, ma manca Elly Schlein. Aprirà al dialogo dopo la telefonata di venti minuti di domenica? La segretaria del Pd è rigida, ma non definitiva. Un piccolo spiraglio c’è, a voler essere ottimisti, ma molto ottimisti e miopi. Nel finale Galeazzo Bignami, capogruppo di FdI, certifica l’incomunicabilità dei due vasi.
Simone Canettieri

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.