Il racconto

Il "martello" di Schlein, ordina al Pd l'astensione sulla mozione 5s e fa votare contro l'articolo pro Russia. A Conte resta la fascia da ultras

Carmelo Caruso

Compatta il partito, confida: "Sull'Iran non faccio l'ultras", mentre il M5s inserisce nella sua mozione una possibile collaborazione con la Russia. La svolta della "telefonata"

Trump “martella” l’Iran a mezzanotte e Conte “putineggia” al pomeriggio. Vince Elly Schlein, vince la sua operazione “telefonata a mezzogiorno” (a Meloni) e vince il Pd che in Aula, si smarca, si astiene sulla mozione da olio di Russia presentata dal M5s. Caro Conte, è da Conte, ma non fa onore. Con il favore dell’afa lascia inserire al suo M5s un articoletto, ignobile, il  32, alla risoluzione sul Consiglio europeo, per non escludere “a priori  una possibile collaborazione con la Russia per contenere il prezzo dell’energia”. La Russia di Putin. Lo mandano all’aria, anzi, all’Aja, dove oggi Conte marcia, Meloni e  il Pd che vota contro l’articolo 32 (e anche il 2) che  eleva la sua sintassi con Cuperlo, Provenzano. I tacchi di Schlein stropicciano la pochette.


Dove è finito il “great friends” di Donald Trump, quel Giuseppe, Peppi, Conte che dava del “tu” all’americano in chief? Schlein ha telefonato a Meloni, ma Conte perché non ha telefonato al suo vecchio cugino di carezze? Si lascia superare da Schlein (che confida “io sull’Iran non faccio l’ultras”)   vestita di verde smeraldo, in tacchi, colore rosa, lo rimpicciolisce, lo degrada ad arruffapace. Con Meloni fa adesso l’anti Trump, lo smemorato di Volturara Appula, perché “io - dice Conte – ho scontentato Trump. Io ci sono passato. L’ho guardato negli occhi, e non ho sottoscritto il 2 per cento di spese Nato perché non posso affamare gli italiani sulla sanità”. Schlein lo degrada grazie alla forza del partito, del Pd, che resta pur sempre un partito di sindaci, consiglieri comunali, gente che sa distinguere, ancora, la polemica dall’ora drammatica, lo degrada grazie alla “telefonata” che anche da Palazzo Chigi dicono adesso “è stata una grande prova di Schlein leader. Conte è un piazzista, lei non lo è”.

 

E’ di “stato” e lo riconoscono Lorenzo Guerini, Enzo Amendola, due ex ministri, è di “stato”, e di piazza, Schlein che individua il lato debole di Meloni, il ministro Antonio Tajani che Amendola canzona da scugnizzo napoletano: “Tajani è la descalation della politica estera italiana. Rilascia tre interviste al giorno per dire che terremo l’ambasciata aperta in Iran, ma Meloni ha appena dichiarato che si valuta lo spostamento in Oman. Tajani è il ministro descalation”. I riformisti del Pd si ricompattano con la segretaria, “perfetta”, per Guerini “ragionevole”, in una Camera che sembra un porticciolo. Sui divani si trova di tutto, il comunista mezzo fascio, Marco Rizzo, l’ex presidente Rai, Roberto Zaccaria, e dal Senato, a portare pace, e occidente, arriva anche il senatore Pd, Alessandro Alfieri. L’Iran separa la sinistra de “la situazione è davvero seria” dalla sinistra “andiamo a protestare”. Perfino Angelo Bonelli spiega che Avs fa le sue manifestazioni e non va all’Aja con Conte, “non siamo certi sposati”. Nicola Fratoianni annuncia che contro il riarmo anche lui “ha in cantiere una valanga di manifestazioni”, ma non l’Aja. E’ una malia poter ascoltare Cuperlo che si rivolge a Meloni, la premier che promette di innalzare le spese Nato al cinque per cento, citando Zaccagnini, introducendo il concetto di “disarmo bilanciato”, è una malia sentirgli dire, da rivale, “pur apprezzando alcune sue parole, cara presidente, manca una visione strategica della crisi, lei non ha mai pronunciato i nomi di Trump e Netanhanayu”. E’ chiaro, è opposizione ma non è la sguaiata, l’allucinata di Marco Pellegrini, del M5s, che in Aula, urla come un capo ultras: “Siete dei guerrafondai! Guerrafondai”. Dice Piero De Luca, che ha in mano la mozione del Pd, che “il Pd sta con l’Ucraina e non si discute” e lo dice mentre aumaum il M5s, che bisogno c’era?, impila, come ha già fatto in passato, questo articolo 32 che è da disonore, questo trattiamo con la Russia per farci scontare il gas. Esce dall’Aula Cuperlo che spiega: “Conte ha scelto la parete, ma una volta che sei a metà parete non si torna indietro. Si è prigionieri”. Proprio perché è stato premier dovrebbe per primo usare con attenzione una frase come questa: “Non si sa oggi se i nostri figli saranno portati in guerra”.

 

Salvini che è seduto, ascoltandolo, avrà avuto un brivido, ed è una fortuna che leghisti non ce ne siano (dice Luca Toccalini, segretario della Lega giovani: “E’ colpa degli aerei in ritardo, nessuno motivo politico”) altrimenti avrebbero ricordato come era bello avere un Conte come amico. Dice Schlein, parlando alla fine, a ora di cena,  “e per fortuna  Trump aveva promesso la fine dei conflitti in 24 ore...”;  “purtroppo la storia insegna che i cambi di regime non si esportano con le bombe”. E’ vero, anche Schlein dice che “il Pd è contro l’innalzamento delle spese militari al cinque per cento” è vero che pure lei rimprovera la spesa, ma lo  aggancia, abile, alla necessità di una “difesa europea”. Grazie alla telefonata, a Meloni, di domenica, le parole di Schlein si fanno  più preziose, come lo smeraldo, la pietra che il colonello di Hemingway in “Di là del fiume e tra gli alberi” stringeva nella sua tasca.

 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio