
Foto ANSA
L'editoriale dell'elefantino
Schlein e i pavidi resti di una cultura politica ormai scomparsa
Se serve una politica secondo le necessità della forza, non c’è spazio per la leggerezza frivola. Calvino spiegato a Elly
Con le sue Norton Poetry Lectures, Lezioni americane tenute a Harvard e pubblicate postume, Italo Calvino ha fottuto, senza saperlo e senza volerlo, un sacco di gente. In particolare quando ha parlato di leggerezza. Come un canone leopardiano, lunare, o ariostesco, la leggerezza è il sottile rifiuto di guardare il mondo secondo la sua logica pietrificata, e un tentativo linguistico di travestirlo e riscattarlo nel racconto letterario. Molto bene, e ben scritto, detto, pronunciato. Ma che c’entra questo con la dichiarazione di Schlein, espettorata con amabilità mentre partivano gli aerei che devono liberare il mondo dall’atomica dei mullah (il lavoro sporco fatto per noi da Israele, secondo Friedrich Merz): “Sono in partenza per il pride di Budapest”? La leggerezza in politica è una forma estrema, estremista di grossolanità. Ne fu vittima anche Walter Veltroni, che è passato dal governo o dall’opposizione al cinema e alla letteratura, una scelta conveniente per lui stesso e per gli altri.
Schlein non si rende conto che il suo fascino leggero, canterino, ballabile, egotista, armocromista, è il nemico giurato dell’autorevolezza, anche scanzonata e non priva di humour, che è richiesta, come una forma classica di gravitas, a chi intende guidare una nazione, un paese, un popolo politico. Potrebbe cavarsela in un mondo ideale, dove l’Europa si configuri come una comunità hippy, secondo la dura definizione di Meloni, e ottenere consensi di un’opinione imbambolata dalla cattiva televisione. Ma nel mondo com’è, quando è necessario leggere e scrivere la politica secondo le necessità della forza, della guerra e della pace, sinonimi e ossimori, non c’è spazio per la leggerezza letteraria di Italo Calvino, che non pensava nelle Norton Poetry Lectures a fornire istruzioni per politici lunari, che invece risultano lunatici.
Via via questo segretario ineffabile di quel che resta del Partito democratico si è fatta sfilare di sotto il musetto i rapporti con Ursula von der Leyen, con i popolari di Merz e la socialdemocrazia tedesca, con lo stesso Macron, e si dubita che resti spazio anche nel caso del bel tomo spagnolo oggi alle prese con un sacco di problemi, e ne risulta un campo largo che si misura, strettissima misura, con Giuseppe Conte e con i dioscuri della sinistra radicale e verde, nullità elettorali e politiche o quasi. Un wokismo blando, fondato sull’incomprensione dei temi della sicurezza e dell’immigrazione irregolare, irrobustito da un’idea individualista e antisociale dei diritti civili, un’ideologia buona per i complimenti della stampa amica ma incapace di stabilire connessioni vere con la società italiana, con la gente di città e di ruralità, è il crisma di questa esperienza impolitica protratta nel tempo oltre il suo limite naturale. Non si vedono imprenditori, operai, finanzieri, banchieri, artigiani, popolino e gente comune, e per la verità nemmeno sindacalisti e capolega, salvo forse l’Arci e l’Anpi versione abbrutita pro Pal, disposti a scommettere un penny sul percorso inesistente di una leadership che esibisce pride ma non capisce l’orgoglio e il senso della stato della classe dirigente nazionale. A fronte di Schlein perfino un Salvini, che di leggerezza e propagandismo spicciolo se ne intende, fa figura di statista. Per non parlare di sindaci pd, dei presidenti di regione, e di altre figure indubbiamente pesanti che considerano con sufficienza, anche se senza sussiego e una sfumatura di timore al cospetto dell’apparato pridesco, la segreteria votata da un altro partito e insediata senza idee al vertice del principale partito di opposizione in Italia. Persona decente, autentica nelle sue ambizioni, il regno o la regia cinematografica, indifferentemente, non antipatica, gelosa di privacy e riposo conveniente, Schlein parla solo di sanità, di correnti interne, di assemblearismo prepolitico, una pratica scolastica a fronte della quale il romanesco sapido di Meloni fa figura di classicità statuale.
La botta dei referendum è stata non forte, fortissima, e per questo non se ne è discusso, vietato farlo. La trasformazione della politica estera e di sicurezza in sbandieramenti dalla parte sbagliata della storia e dell’umanità, grazie a un umanitarismo di seconda scelta che pone il Pd contro l’Europa e tra i primi nell’assedio a Israele, almeno a chiacchiere facilitatrici dell’istinto antisionista o antisemita delle masse manipolate, ora anche issando il vessillo della Repubblica islamica dell’Iran e delle sue barbe finte attaccata contro le regole sante del Diritto internazionale, è la prova in flagrante di uno stato di minorità che priva questo paese di una vera e seria opposizione di governo. La fortuna di Schlein è che si batte contro Nessuno, non nel senso odisseico del termine, non contro una classe dirigente astuta e coraggiosa, ma contro i pavidi resti di una cultura politica che con lei è definitivamente e ingloriosamente scomparsa.