Il racconto

Il terzo mandato spacca il Pd: "Zaia sì e Beppe Sala no?". La contromossa di Schlein è sulla legge elettorale

Carmelo Caruso

Le conseguenze di un'eventuale legge sui governatori si riversa sui sindaci del Pd. Per loro il terzo mandato è vietato. Al Senato arriva una pecetta per aumentare anche il numero di consiglieri regionali e assessori

Il terzo mandato è il Sala nella ferita. Brucia come Beppe, il sindaco di Milano, e apre la questione Pd: i governatori sì e i nostri sindaci no? Cosa accade se passa la legge Zaia mon amour? Il “Doge” e Vincenzo De Luca  potrebbero correre ma Sala non può farlo. Il presidente dell’Anci, Manfredi, annuncia battaglia, la destra confonde il nemico e presenta emendamenti (al ddl 1452) per aumentare il numero di assessori e consiglieri regionali. In queste ore il  Pd chiede a  Calderoli “Ce la fai? E di’ che non ce la fai!”. Elly Schlein fa sapere (e lo fa sapere) che se si “approva il terzo mandato si rompe qualsiasi possibile negoziato sulla legge elettorale”. Risultato: grande è la confusione sotto l’ombrellone e la speranza, a sinistra,  è che sia solo schiuma. È sapore di caos.

 

Dicono tutti che “è solo cinema”, ma per Meloni è grande cinema Calderoli, il regista dell’operazione terzo mandato. Nessuno crede che la legge si possa fare ma tutti recitano a soggetto. Il ministro Ciriani, ogni giorno, ricorda che il memento mori si avvicina: “Il tempo stringe”, Antonio Tajani ogni quindici minuti dichiara: “Non mi vendo per un piatto di lenticchie”, Vincenzo De Luca come nel film con Toni Servillo può dire: “Qui rido io”. Gli effetti nel Pd sono strepitosi. Il compagno Nico Stumpo conferma “che sul terzo mandato comincia a esserci una strana arietta”, l’amico di banco, Vinicio Peluffo, che è la vedetta lombarda, lo spiega in milanese: “Se passa il terzo mandato per i governatori, come  si fa a vietarlo per Beppe Sala?”. Essere o non essere terzi? Ecco il pasticcio.

  

Se il ddl sul terzo mandato dei governatori viene approvato si può (ancora) vietare ai sindaci, al di sopra dei quindicimila abitanti, la stessa possibilità? La battaglia l’aveva già condotta Antonio Decaro, solo che Decaro è andato via, a Bruxelles, e il presidente Anci è ora il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, che al Foglio ha detto: “Mi ricandido a Napoli”. È al suo primo mandato come lo sono i sindaci di Roma (Gualtieri) Torino (Lorusso), Bologna (Lepore) Vicenza (Possamai) ma può Manfredi non ascoltare la protesta degli altri amministratori? Il 10 giugno in una nota Anci, Manfredi ha dichiarato che “non esiste motivo logico, giuridico, istituzionale e politico alcuno per cui l’eventuale rimozione del vincolo per i presidenti di regione non debba estendersi anche ai sindaci dei comuni con oltre 15 mila abitanti. È necessaria chiarezza”. Il caso più eclatante è la Lombardia. A Milano c’è Sala, a Mantova, Mattia Palazzi, a Varese, la capitale della Lega, c’è Davide Galimberti che governa da dieci anni. Non si può ricandidare neppure il sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà, altro amministratore  simbolo, assolto dall’accusa d’abuso d’ufficio. Non appena Meloni ha riaperto sul terzo mandato i sindaci hanno chiesto a Manfredi di uscire con una nota. All’inizio, nel Pd, era solo scetticismo. “Tanto non ce la fanno”. Poi: “Vabbè, un decreto? Mattarella non lo approverà mai”. Dopo: “Ah, fanno un ddl? Non ci sono i tempi. In realtà vogliono rimandare le elezioni in primavera. Anche questo è impossibile”. Da ventiquattro ore confidano: “Ci provano? E Forza Italia che ci guadagna? La Lombardia? Se non va alla Lega, la prende FdI per consegnarla a Ettore Prandini”.

  

A furia di pensare cosa (non) farà la destra, la sinistra ha dimenticato di chiedersi: e ai nostri sindaci che diciamo? E qui, interviene la (mezza) fortuna. I nomi dei sindaci, noti, con due mandati sono come elencato quattro e il grosso dei grossi, Sala, non è del Pd, ma è una categoria dello spirito della sinistra: è verde, è rosso, arcobaleno. Insomma, è Sala. Ma ci sono poi i minori, quelli che non smaniano per andare in televisione, ma che con le loro preferenze locali hanno poi contribuito a fare eleggere Giorgio Gori, Matteo Ricci, Decaro, Dario Nardella alle europee. Che si dice? Si sta dicendo che è appunto “cinema” che i “tempi non ci sono”, anche perché in alcune regioni c’è  già la data dei primi comizi: il 4 settembre. Solo che il film risulta sempre più interessante, e allettante. In Commissione Affari Costituzionali, al Senato, è arrivato un emendamento a firma della maggioranza, di Malan, Romeo, Gasparri e Biancofiore che prevede l’aumento di assessori e consiglieri regionali. Ecco perché nel Pd, il Pcus di Schlein, si inizia a collegare il terzo mandato con la nuova legge elettorale, e anticipare: “Se passa la legge per i governatori, si rompe qualsiasi ipotesi di negoziato”. Sì, ma nel Pd come si spiega, in Campania, a De Luca, che deve ritirarsi, e ai sindaci che sono, loro, i soli fessi della sceneggiatura? La beffa? Nelle Marche, dove il Pd ha buone possibilità di vincere con Ricci, le direzioni provinciali del Pd, di Ancona e Fermo, hanno stabilito che tre ex consiglieri regionali, tre campioni del voto, al loro secondo mandato, non potranno correre per il terzo. Un cinema, all’aperto. L’egemonia culturale del Pd? È finita davvero. Da Paolo Virzi a Calderoli. Quest’ anno tutti a vedere Ferie in Affari costituzionali.

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio