
Stefano Ceccanti (Ansa)
Editoriali
Intorno al caso Ceccanti e al congresso autoconvocato del Pd a Pisa
La maggioranza del Partito democratico non si pone dei limiti nella sua volontà di distruggere la minoranza riformista. Il clima è quello di una resa dei conti definitiva
Il professor Stefano Ceccanti, noto costituzionalista già parlamentare del Pd, è stato protagonista, o meglio vittima di un episodio accaduto nella sezione pisana del partito. Recatosi in sezione per partecipare al congresso, proveniente da Roma, dove insegna all’Università, si è sentito dire dalla segretaria che il congresso sarebbe stato rinviato per ragioni burocratiche determinate da imprecisioni riscontrate nell’elenco degli iscritti. Ritornato alla stazione ha ricevuto una email in cui si spiegava che invece un gruppo di iscritti “autoconvocati” aderenti alla corrente della segretaria, aveva celebrato il congresso, in assenza della minoranza, e naturalmente lo aveva vinto. Siccome sulla vicenda Antonio Polito, del Corriere, ha pubblicato un video, la questione non si è chiusa e ci saranno ricorsi e probabilmente il congresso autoconvocato sarà annullato. Polito parla di un “caso Ceccanti”, ma in realtà quello che preoccupa è l’atteggiamento della maggioranza del Pd, che non si pone limiti nella sua volontà di distruggere la minoranza riformista.
Il fatto che la figura di Ceccanti sia nota ha permesso che questo episodio di scorrettezza venisse alla luce, ma c’è da domandarsi quali e quante altre iniziative discriminatorie sono in atto nel Pd. Naturalmente è ovvio che una corrente punti a prevalere nei congressi, ma il clima del Pd non è quello di un confronto fisiologico e democratico, piuttosto quello di una resa dei conti definitiva che punta a contestare non le posizioni ma la legittimità e l’esistenza stessa dell’opposizione interna. Le vicende del referendum, in cui Elly Schlein ha cercato di schierare tutto il partito per l’abrogazione di norme approvate a suo tempo dallo stesso partito (ma non da lei), provocando qualche reazione dissidente da settori dell’area riformista, ha acceso gli animi, e ora pare che si vogliano usare le occasioni congressuali per “fare pulizia”. In sostanza c’è una torsione autocratica della dirigenza e una incapacità della minoranza di contare all’interno di un partito, che, paradossalmente, si chiama ancora democratico.


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