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A pagare saranno i giovani

Una riforma sbagliata: così l'Italia scoraggia i medici del futuro

Gilberto Corbellini

Si promette l’abolizione del numero chiuso, ma non è vero. Si dice addio al quiz nazionale, ma il nuovo test è peggio, e chi ha più risorse sarà comunque più avvantaggiato. L'Italia adotta una delle soluzioni più confuse e inadeguate per il reclutamento degli studenti di medicina

Una domanda elementare: chi ha ideato la riforma del reclutamento degli studenti di medicina (DL n. 71 del 15 maggio 2025) e ne sta gestendo l’attuazione, si è chiesto come sta cambiando davvero la medicina? Sotto la pressione dell’innovazione tecnologica, dell’intelligenza artificiale, dell’evoluzione scientifica e dei mutamenti demografici che ridisegneranno i bisogni sanitari? O degli avanzamenti nella psicologia dell’apprendimento, dei bias nel ragionamento clinico, dei disagi psicologici che colpiscono studenti smarriti in sistemi scolastici farraginosi e ansiogeni? La risposta è semplice: no. Nessuno ha pensato a cosa serve davvero insegnare ai medici di domani, e a cosa invece sarebbe da evitare. Se lo si può comprendere da parte di chi ignora l’università o vive nel realismo magico della politica, è più grave che lo faccia chi conosce il mondo accademico e si genuflette a burocrazie ministeriali che sbandierano riforme come propaganda. Esiste ancora un’etica della formazione? Un’etica della cura? Difficile trovarla, oggi, nei gangli dell’istruzione pubblica.

Sarebbe facile smontare la riforma: è già stato fatto. I decreti attuativi ne amplificano le storture. Si promette l’abolizione del numero chiuso, ma non è vero. Si dice addio al quiz nazionale, ma il nuovo test è peggio. Si sbandiera uguaglianza, ma chi ha più risorse sarà comunque più avvantaggiato. Si afferma che i mesi di preparazione serviranno agli studenti per orientarsi: in realtà, si costruisce un percorso di tre anni fatto di tentativi ripetuti, ansia e frustrazione. Tutti i sistemi più seri del mondo affrontano con fatica la selezione dei futuri medici. L’Italia, invece, adotta una delle soluzioni più confuse e inadeguate, figlia di una visione vecchia, provinciale, ideologica. C’è un aspetto fondamentale che sfugge a chi sostiene la riforma, compresi i professionisti della retorica dell’innovazione. Se non si formano professionisti capaci, un paese perde in salute, ma anche in competitività. Nei prossimi anni, miliardi confluiranno nel mondo sanitario: nei centri di cura, nei laboratori, nell’industria farmaceutica, nelle agenzie di regolazione. Senza capitale umano preparato, saremo tagliati fuori. Gli investimenti nella medicina clinica e nella ricerca biomedica crescono in modo continuo. Da 240 miliardi nel 2009 a 300 miliardi nel 2023. Il mercato globale delle sperimentazioni cliniche ha raggiunto i 60,9 miliardi nel 2024 e salirà a oltre 104 miliardi entro il 2032 (CAGR 6,8 per cento). In Italia abbiamo équipe di livello mondiale, ma le norme e i vincoli politici stanno soffocando la loro capacità attrattiva. Le multinazionali scelgono altri paesi. Nel 2024 la Cina ha superato gli Stati Uniti: oltre 7.100 trial clinici contro 6.000. Saremo consumatori passivi di farmaci testati altrove. Anche gli investimenti in private equity in sanità sono saliti: 115 miliardi nel 2024, secondo valore annuo storico. In crescita il settore biofarmaceutico, l’IT sanitario e le infrastrutture per le sperimentazioni.

La “bioconvergenza” – incrocio tra biologia, ingegneria e data science – è già un mercato da 110 miliardi, e si espanderà del 7,4% annuo fino al 2030. Il segnale è chiaro: servono professionisti ibridi, aperti, aggiornati. La formazione medica è oggi decisiva. Deve fondersi con le nuove tecnologie, includere IA, medicina di precisione, economia sanitaria e politiche pubbliche. Bisogna insegnare ai futuri medici non solo biologia e anatomia, ma anche come si organizza l’assistenza, come si valuta una politica sanitaria, come si costruisce un sistema efficiente. Solo così i medici potranno davvero affrontare il futuro: con spirito critico, competenze trasversali e capacità di adattamento. Le facoltà di medicina non sono solo scuole: sono hub di innovazione, sviluppo economico, produzione scientifica. Dovrebbero formare medici capaci di apprendimento continuo, con una visione globale e sistemica della salute. Ma tutto questo non si vede nella riforma attuale. Niente di ciò che oggi serve è stato considerato da chi ha in mano la leva dell’istruzione. E a pagare saranno, ancora una volta, i giovani. Anche nella loro salute mentale. Anche nel loro diritto di studiare medicina in un paese che non li scoraggia a ogni passo.
 

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