
Giorgia Meloni (Ansa)
la nomina
Peronaci dalla Nato a Washington: la mossa diplomatica di Meloni nel giorno di Rutte
Oggi il via libera in Consiglio dei ministri al nuovo ambasciatore negli Stati Uniti. E a Roma arriva il segretario generale della Nato per parlare di spesa militare. Ma la vera guerra è sul terzo mandato
La nomina guarda agli Usa, ovviamente. Ma anche all’Alleanza atlantica, attesa da un futuro tutto da scrivere. Per questo motivo Giorgia Meloni e Antonio Tajani hanno scelto Marco Peronaci come prossimo ambasciatore italiano a Washington, al posto di Mariangela Zappia che lascia la sede americana a fine mese. La scelta è ricaduta dunque sull’attuale rappresentante dell’Italia alla Nato. E così tutto sembra tenersi, nei piani del governo. Il via libera è atteso nel Consiglio dei ministri di oggi, in una giornata che sarà caratterizzata dalla visita a Palazzo Chigi di Mark Rutte, segretario generale della Nato. Il faccia a faccia con Meloni guarda al summit dell’Alleanza previsto per la fine del mese all’Aia. Si parlerà di spese militari del 2 per cento raggiunto da Roma e dell’impegno del 3,5 messo in agenda.
Dopo questo appuntamento Rutte prenderà parte poi a un incontro dei ministri degli Esteri nel formato Weimar plus: non solo Francia, Germania e Polonia, ma anche altri paesi, tra cui Regno Unito e Italia. L’arrivo a Roma del segretario generale della Nato è stato anticipato da queste parole, pronunciate ieri a Londra durante un discorso pubblico: “La Russia potrebbe colpire l’Europa entro cinque anni perché sta accelerando in maniera preoccupante la sua capacità militare”. Per il solo 2025, Mosca avrebbe pianificato la produzione di 1.500 carri armati, 3.000 veicoli blindati e almeno 200 missili Iskander a medio raggio. Ecco perché ha lanciato la proposta che ciascun paese membro della Nato destini almeno il 5 per cento del proprio Pil alla sicurezza collettiva. Di questo, il 3,5 sarebbe dedicato alla spesa militare diretta - armamenti, personale, tecnologie - mentre l’1,5 dovrebbe finanziare infrastrutture strategiche critiche come porti, aeroporti, linee ferroviarie e reti digitali resilienti. “Per troppo tempo gli Stati Uniti hanno sostenuto da soli il peso della sicurezza transatlantica”, ha detto Rutte. Parole rimbalzate e colte al volo dal ministro della Difesa Guido Crosetto che le ha commentate spiegando che l’Italia sicuramente non andrà in guerra, ma “occorre che la guerra non arrivi da noi”.
La nomina di Peronaci, se vogliamo, è nel solco di questa sfida geopolitica: continuare il dialogo con la Casa Bianca, variabile impazzita dello scacchiere mondiale. L’ambasciatore ha dalla sua parte anche il lavoro svolto in queste settimane nei negoziati per fare in modo che i parametri italiani che portano la spesa per la Nato al 2 per cento non venissero bocciati. Peronaci al fotofinish ha superato la candidatura di Massimo Ambrosetti, che resta nella sede di Pechino per proseguire i rapporti con il Dragone a partire dall’export.
Sullo sfondo c’è la politica interna. E il dibattito ormai abbastanza impazzito sul terzo mandato per i governatori. Argomento caro al Veneto di Luca Zaia, ma che potrebbe complicare la vita di Elly Schlein in Campania (con Vincenzo De Luca) e in Puglia (con Michele Emiliano). Provvedimenti al momento non se ne vedono anche perché Forza Italia ha eretto un muro di parole. Tajani con un parallelo storico abbastanza hard ha frenato la voglia dei governatori per il tris spiegando che non si può avallare questa opzione in virtù del gradimento della popolazione “perché anche Mussolini e Hitler vinsero le elezioni”. Parole “totalmente fuori luogo”, come ha fatto sapere Zaia, collegandosi al consiglio federale della Lega. Dove l’argomento ha tenuto banco, così come gli screzi quotidiani con gli alleati di Forza Italia. Salvini dice comunque di essere pronto a seguire l’apertura di Fratelli d’Italia sul terzo mandato. Al di là delle sparate e del gioco al rialzo, un’intesa sul centrodestra sembra non esserci. Anche se al contrario in molti sono convinti che la Conferenza delle regioni sarà favorevole a questa ipotesi.
Per questo motivo, come anticipato dal Foglio la scorsa settimana, l’unica strada percorribile è quella di un ddl ad hoc, molto snello. Perdono quota il decreto e la possibilità di un emendamento al ddl Ballottaggi, che si trova ora in Senato. Tutto, come raccontato, è nelle mani di Roberto Calderoli, ministro per gli Affari regionali che nei giorni scorsi parlava anche di uno slittamento alla primavera del 2026. Tuttavia c’è da convincere Forza Italia. Un buon motivo per dire sì da parte degli azzurri potrebbe essere il candidato sindaco a Milano, vestito cucito per ora addosso a Maurizio Lupi di Noi moderati, navicella centrista che Tajani & Co. soffrono molto. Ecco perché intanto Forza Italia è pronta a fare accordi al centro facendo saltare il patto tra Udc e Lega. Ma questi sono rumori di fondo, nel giorno dell’arrivo del numero uno della Nato e del nuovo ambasciatore negli Usa.