(foto Ansa)

L'editoriale dell'elefantino

I referendum e l'identarismo che porta alla sconfitta

Giuliano Ferrara

Solo un congresso riporterebbe la sinistra a occuparsi di questioni serie. Fatti, non illusioni

La linea identitaria a sinistra genera sconfitte. Non è ancora chiaro? Enrico Berlinguer morì un anno prima ma il suo referendum sulla scala mobile fu la fine del Pci. Ancora oggi un’accozzaglia di impolitici fa la moralina in nome della diversità antropologica dei comunisti italiani, e celebra Berlinguer come l’immagine santificata del comunismo buono frugale serio e scalfariano, ma con quali risultati? Siamo arrivati al paradosso di una identità ideologica rivolta contro sé stessi. Si vota il Jobs Act, quando si ha il 40 per cento e una linea di centrosinistra riformista capace di governo, e quando è necessario ricostruirla si vota contro il Jobs Act, ancora nel nome di una linea identitaria. Siamo dalla parte dei lavoratori, ci agganciamo alla Cgil, contro gli altri sindacati, seguiamo il percorso dell’identità sana e buona con Giuseppi e Camomilla e Tesla, un’alternativa che più perdente non è possibile concepire. Per battere eventualmente Meloni occorre uno Starmer, non dico un Blair, o un Macron del 2017, quello dei sogni realistici e riformisti-liberali, non una signora rispettabilissima che ha scambiato Berlinguer, già trafitto dal realismo della storia, con Elio Germano, e ambisce giustamente a fare la regista di cinema. Che nel Pd, a parte la gagliarda Pina Picierno, non si levino voci forti e chiare in favore di un’alternativa di programma basata su fatti e numeri, non su immagini e chiacchiere, è scandaloso. Meloni sa il fatto suo, la stabilità è un valore, ma una democrazia si fa più debole se non ci siano un’opposizione seria e un’alternativa possibile.

 

L’arrogante e verboso Landini dovrebbe farsi da parte come timoniere di una cocente disfatta, sconclusionata per di più e priva di qualunque nobiltà culturale e politica e sindacale. A Schlein dovrebbe essere imposto immediatamente un congresso coi fiocchi. Fatelo a Blackpool, dove si riuniscono ogni anno i laburisti inglesi, o a Gambettola, la patria di Luciano Lama. Ma fatelo. Riaprite la discussione tra identità e politica. In America l’identitarismo ha prodotto Trump, altro che Meloni. Che aspettate? Che aspettate a tirare fuori questioni serie nell’Europa in guerra? Invece di corteggiare blandamente i pacifisti e blandamente seguire una linea immigrazionista, blandamente, sempre, antifascista, invece di cedere su tutti i princìpi, il primo dei quali è la solidarietà con Israele contro Hamas, invece di flirtare con Rula e le accuse di genocidio, siate seri sulle armi, sull’Europa.

 

Ché Germania e Inghilterra e Francia non aspettano una sinistra delle delusioni e delle illusioni, e Meloni, per quanto la si voglia sfruculiare sui suoi rapporti con Trump e Musk, tiene botta su Zelensky e non indulge a scemenze su Netanyahu e non si fa ricattare sul riarmo europeo.  Poi uno può anche mettere le sanzioni su Smotrich e Ben-Gvir, un atto in sé grottesco ma politicamente comprensibile dei laburisti britannici, ma da una base solida, sul fondamento di un potere politico sottratto a tredici anni di governi conservatori, con Farage alle porte. Nel bene e nel male, qui si giochicchia. Perfino l’ultima avventura sentimental-politica di Walter Veltroni, quando si oppose con l’idea della vocazione maggioritaria a Berlusconi, lui che poi il sogno della regia di cinema l’ha realizzato, sembra a ritroso una interessante manovra politica extra-identitaria.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.