
Foto Ansa
PASSEGGIATE ROMANE
Elly Schlein alla resa dei conti
Non è andata affatto come sperava la segretaria. Che ora, dopo il referendum, s'è convinta che il congresso vada fatto al più presto: giocare d’anticipo per spiazzare i riformisti orbi di un candidato da contrapporle
Non è andata affatto come sperava Elly Schlein. Proprio no. Non che al Nazareno non dessero per scontato che il quorum non sarebbe mai stato raggiunto. Quello lo davano tutti per ovvio e la stessa segretaria del Partito democratico ne aveva discusso in piazza San Giovanni con Giuseppe Conte per decidere quale tattica adottare lunedì pomeriggio. Ma la leader dem era convinta che si arrivasse intorno al 40 per cento e perciò intendeva sfruttare comunque quella partecipazione per rispondere al centrodestra che avrebbe festeggiato il mancato quorum. Dare appuntamento a Giorgia Meloni alle prossime elezioni politiche, come ha fatto nonostante tutto ieri, avrebbe assunto un altro significato. Perciò quando i pd hanno capito che non si sarebbe arrivati nemmeno al 30 per cento è subentrato lo sconforto, seguito da un certo nervosismo dei fedelissimi della segretaria.
Si scrive e si legge che Elly Schlein comunque, dopo questo insuccesso dei referendum sul Jobs Act abbia almeno incassato la sconfitta di Maurizio Landini, le cui ambizioni politiche future possono ormai considerarsi archiviate. Questo è senz’altro vero. Come è vero che durante la campagna elettorale c’è stata una certa tensione tra i due perché il leader della Cgil era contrario alla strategia di Schlein di politicizzare i referendum andando allo scontro con il centrodestra. Landini infatti, per allargare la platea degli elettori, cercava di convincere anche gli operai di destra a votare contro il Jobs Act e la strategia del Pd, da quel punto di vista, non gli faceva comodo. Ma questo non significa che la segretaria del Partito democratico rinuncerà a mantenere un rapporto stretto con il sindacato di rifermento. Secondo Schlein, rinunciare a quel rapporto privilegiato non converrebbe affatto in vista delle future elezioni politiche.
Dopo l’esito del referendum, soprattutto di fronte alle reazioni dei riformisti del Pd, Elly Schlein si è convinta che il Congresso vada fatto assolutamente con tempi anticipati. Già a gennaio, possibilmente. In questo modo la leader pensa di evitare di finire nel tritacarne a cui sono sottoposti in genere tutti i segretari dem. Giocare d’anticipo per spiazzare i riformisti orbi di un candidato da contrapporle: l’idea è questa. E uno dei più grandi sostenitori di questa ipotesi è il responsabile organizzativo del partito Igor Taruffi. E’ lui che da ieri sta spronando Schlein ad andare avanti sul congresso.
In questo clima interno alquanto teso, raccontano che Elly Schlein abbia un’altra preoccupazione. Riguarda l’eccessiva autonomia del gruppo del Pd al Parlamento europeo. Lì si trovano i suoi oppositori più accaniti (Pina Picierno e Giorgio Gori, tanto per fare due nomi) e lì si sono verificate le maggiori difficoltà in alcune votazioni chiave. Ma ridurre a più miti consigli gli europarlamentari dem è un’impresa pressoché impossibile. Come è arduo pretendere che Nicola Zingaretti si trasformi in una sorta di sergente di ferro disponibile a instaurare un clima da caserma nel gruppo, così come vorrebbe qualcuno al Nazareno. Non è nello stile dell’uomo. E non solo: conoscendo bene i suoi compagni di partito, Zingaretti si rende conto che una strategia del genere sarebbe controproducente. Grazie alla sua gestione, finora, hanno convissuto sotto lo stesso tetto Guido Ruotolo e Giorgio Gori e cambiare indirizzo romperebbe tutti gli equilibri.
