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moderato e riformista

Perché Bitetti, il nuovo sindaco di sinistra di Taranto, non è un guaio per Ilva

Annarita Digiorgio

Sconfitto al ballottaggio Francesco Tacente. Da sempre industrialista sviluppista, Bitetti è più abituato a trattare con i sindacati che con gli ambientalisti. Se il governo riuscirà a riportare l'industria tarantina alla produzione e all’occupazione, non sarà lui a ostacolarlo

Taranto è la più grande città al ballottaggio, con i suoi 180 mila abitanti. In altri tempi, quando era anche la più importante città industriale del Mezzogiorno, il risultato avrebbe interessato l’intero paese. Questa volta, invece, siamo lontani dal farne l’Ohio d’Italia, nonostante la vittoria del centrosinistra. Piero Bitetti ha sbaragliato il candidato del centrodestra, Francesco Tacente. Lo ha fatto in sordina, con le segreterie di partito silenti a causa della spaccatura del campo largo, e con un candidato privo della tessera del Pd. Ma l’assenza più evidente (e forse più propizia) è stata quella di Michele Emiliano, ormai in caduta libera, travolto dagli scandali. Elly Schlein è arrivata solo l’ultimo giorno in città per sostenere Bitetti, senza il Movimento 5 Stelle. E con la presenza della segretaria nazionale è salito sul palco anche Antonio Decaro, fino a quel momento rimasto defilato.

Bitetti è da sempre nel campo del centrosinistra, ma è rimasto ai margini del Pd che nel 2017 non lo volle candidato sindaco, preferendogli Rinaldo Melucci. Fu costretto a correre da solo. Melucci, l’ex sindaco che Pd e 5 Stelle hanno prima sostenuto e poi fatto cadere. Bitetti ha uno stile diverso: moderato, riformista, socialista. Nato nella macelleria di famiglia, nonostante le migliaia di preferenze raccolte, non è mai riuscito a diventare consigliere regionale, rimanendo un uomo del popolo in consiglio comunale. Ed è questa la differenza che ha fatto vincere Bitetti contro Tacente, candidato della Lega, sostenuto al primo turno dagli uomini dell’ex maggioranza Melucci, e poi al ballottaggio apparentato con Fratelli d’Italia e Forza Italia. I due partiti del centrodestra avevano inizialmente spaccato la coalizione proprio per contrapporsi agli uomini di Melucci, contro cui erano all’opposizione. Ma al ballottaggio sono stati costretti a sostenere Tacente, lo stesso candidato che il sistema politico-imprenditoriale melucciano aveva sponsorizzato. Per sostenere Luca Lazzaro, altro candidato di centrodestra, era venuto a Taranto mezzo governo. Ma poi gli è stato imposto di ritirarsi e sostenere Tacente, costringendolo a smentire la propria linea politica costruita contro quel sistema. Il principale regista dell’operazione è stato Roberto Marti, coordinatore regionale della Lega, da sempre in guerra con Raffaele Fitto. Negli ultimi giorni si è infilato nella campagna anche il ministro Urso, dichiarando che solo con la vittoria del centrodestra (e senza impugnare l’autorizzazione ambientale) si sarebbe potuta salvare l’Ilva.

Ma la realtà è che Bitetti, al netto di qualche ammiccamento ai 5 Stelle e dei Verdi ormai marginali, è da sempre un industrialista sviluppista, non populista. Più abituato a trattare con i sindacati che con le associazioni ambientaliste. Si è allontanato dal Pd quando il partito ha virato dal riformismo di Renzi al progressismo di Schlein, cambiando linea sull’Ilva. A differenza del sindaco uscente, Bitetti non è animato da pulsioni di vanità o tentativi di scalata interna. E se il governo riuscirà  a riportare l’Ilva alla produzione e all’occupazione, non sarà lui a ostacolarlo. Ma quasi, a dispetto delle sue intenzioni, sarà il sindaco del periodo più buio di Taranto: quello della chiusura definitiva dell’Ilva. Servirà un sindaco serio, laico, dialogante, con la testa sulle spalle. Forse è l’unica fortuna che questa città è riuscita a darsi.

 

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