
Ansa
il colloquio
L'ex ministro Salvi: “Sui referendum, furbata di Meloni. Ma astenersi è legittimo”
"La premier ha fatto una cosa priva di senso. L'invito a non votare è una pratica utilizzata più volte. Anche a sinistra. Voterò quattro sì su Jobs act e lavoro, sulla cittadinanza ci penso. Serve una discussione seria sull'istituto referendario, non solo sul quorum"
“Certo che andrò a votare. Ma l’astensione, in occasione dei referendum è sicuramente legittima”. Cesare Salvi non si scompone davanti agli inviti a disertare le urne. “E’ una pratica utilizzata più volte. A destra, al centro e pure a sinistra”. Salvi lo dice da ex dirigente della sinistra – del Pds e dei Ds, prima ancora ha fatto parte della segreteria del Pci. Ma lo dice anche da ex ministro, titolare del Lavoro nel secondo governo D’Alema e poi con Amato.
Dopo le parole della premier Giorgia Meloni – “vado a votare, ma non ritiro le schede”– sono ripartite le polemiche e gli attacchi delle opposizioni. Salvi, che idea si è fatto? “E’ il gioco delle parti. La presidente del Consiglio ha fatto quella che un tempo avremmo definito una ‘furbata’. Non credo tuttavia che le abbia giovato e che le gioverà molto. Personalmente, penso abbia fatto una cosa priva di senso. Forse se stava zitta, e faceva parlare quelli del suo partito, era meglio. Detto questo, non ci vedo nulla di illegittimo nel suo annuncio”. L’ex ministro ricorda quindi i numerosi precedenti: “Si è sempre fatto, dal cardinale Camillo Ruini a Sergio Cofferati. E non so quanti altri”. Bettino Craxi aveva preferito il mare alle urne. E nel 2003 pure i Ds, guidati allora da Piero Fassino, con un volantino tornato d’attualità in questi giorni facevano campagna per ricordare che “non votare un referendum inutile e sbagliato è un diritto di tutti”.
In questi giorni, a parti invertite, la storia si ripete. “Ma il punto vero è un altro, istituzionale. Cioè il quorum: era stato fissato in un momento in cui la partecipazione popolare era estremamente alta, per cui si ritenne, da parte dei padri costituenti, che per abolire una legge fosse necessario un livello minimo di affluenza. Oggi invece il quorum è diventato un ostacolo rilevante. Non lo scopriamo ora, ma la questione non è stata mai davvero affrontata”, Salvi si riferisce alle tante consultazioni andate a vuoto. Al di là della natura del referendum, dal 2000, solo una volta si è raggiunto l’obiettivo. Allora si parlava di nucleare e acqua pubblica. Precedenti avrebbero dovuto indurre la politica a ben altre riflessioni. “Con tutte le riforme costituzionali che sono state proposte, o realizzate, non si è mai pensato a una seria discussione che riguardi l’istituto referendario. Non parlo solo del quorum ma, per esempio, anche dell’aspetto propositivo. Perché è del tutto evidente che la democrazia rappresentativa attraversi un momento di crisi, non solo in Italia. In questo quadro, il potenziamento della democrazia diretta non può che essere un fatto positivo”, è il suggerimento un po’ amaro dell’ex ministro, che continua: “Tuttavia al momento la situazione è questa e non possiamo farci molto. Di conseguenza andrò a votare come ho sempre fatto”.
A proposito, sa già in che modo? “Sulla cittadinanza ci penserò ancora un po’”. E sul resto? “Avendo ormai una certa età – scherza Salvi, che compirà 77 anni proprio lunedì, con le urne ancora aperte – non riesco a districarmi in questa sinistra. Quindi, su lavoro e Jobs act, voterò 4 sì”. In linea con il Pd di Elly Schlein. La minoranza del partito invece (i riformisti che hanno chiesto in una lettera che l’appuntamento di domenica non diventi una resa dei conti), andrà in ordine sparso. “Ognuno si regola secondo le sue idee. E’ del tutto chiaro chi è la segretaria. E’ stata eletta con i loro strani meccanismi, con le primarie, su una piattaforma più di sinistra rispetto al passato. Non vedo nulla di strano nel posizionamento di Schlein”, dice Salvi. “Un tempo – aggiunge – c’era la disciplina di partito, adesso molto meno. Per questo penso che non ci sia nulla di tragico nemmeno nella scelta della minoranza. La vera domanda però è un’altra”. Quale? “Davvero questi referendum andavano fatti?”, si chiede l’ex ministro, che non sembra troppo convinto da certi calcoli che si leggono sui giornali. Quelli secondo cui un’affluenza del 40 per cento sarebbe un buon risultato per l’opposizione, un messaggio al governo Meloni. “Le problematiche di questa consultazione – conclude l’ex ministro – erano note da moltissimo tempo. Poi si può rigirare la frittata come e quanto si vuole, ma se alla fine, come è probabile, non si raggiungerà il quorum, il risultato sarà la sconfitta. E bisognerà prenderne atto”.