Il colloquio

Il costituzionalista Curreri: "Legittimo non votare i quesiti referendari, ma il quorum va abbassato"

Ginevra Leganza

"Il voto è un diritto, un dovere, ma non un obbligo", spiega Salvatore Curreri, professore di diritto costituzionale. "Bisogna parametrare il quorum al numero di elettori delle politiche, così si eviterebbero scelte astute come quelle di Meloni e la confusione dell'opposizione" 

Voto o non voto? Cabine elettorali o cabine balneari? Ma soprattutto: è legittimo astenersi dai quesiti referendari del prossimo 7 e 8 giugno e invitare gli elettori a disertare le urne? A sentire Salvatore Curreri, professore di diritto costituzionale all’università di Enna, “il voto, diritto e dovere, non è certo un obbligo”. Motivo per il quale “non c’è alcuna sanzione per chi non andrà a votare”.

“L’articolo 48 della Costituzione – spiega Curreri – testimonia il senso etico del voto. Dopodiché l’articolo 75, sul referendum abrogativo, prevede un quorum”. L’agognato quorum… “Per alcuni, il fatto che il costituente abbia previsto un quorum legittima l’astensione. Difatti, sotto il profilo giuridico, l’astensione è perfettamente lecita. Anche perché come c’è stata una maggioranza di parlamentari che ha partecipato al voto di una legge – il cosiddetto numero legale – così ci dev’essere una maggioranza di elettori che vada a votare. E’ una regola logico-numerica. Anche se…”. Sì? “Ecco, quando i costituenti scrissero questa disposizione, non potevano certo prevedere il tasso di astensionismo odierno. Un tasso talmente elevato da congelare di fatto il referendum”. L’astensionismo, però, è una disposizione d’animo che precede e segue i referendum. O no? “L’astensionismo affonda le radici in cause ben più ampie, certo. Nel caso del referendum, tuttavia, diventa condizione di validità. E quindi la partita è falsata”. Perché? “Perché l’oppositore, con l’invito al non voto, parte in vantaggio”. Invito che pure è legittimo. “Sì, giuridicamente. Ma in una gara di 100 metri, i promotori dell’astensionismo partono 30 metri più avanti”. Soluzioni? “Per me la più convincente non è l’abolizione del quorum ma il parametrarlo al numero totale di coloro che sono andati a votare alle ultime elezioni politiche. Se va a votare il 70 per cento, il quorum sarà fissato al 35 più 1”.

Cosa accadrebbe? “Posto il quorum a un livello più basso, chi fosse contrario al referendum non potrebbe correre il rischio di non votare. Piuttosto voterebbe no. Si eviterebbero perciò scelte astute… Come quelle della presidente Meloni, che giuridicamente assolve al suo dovere ma poi, non ritirando le schede, non partecipa di fatto al quorum. La minoranza degli elettori non sarebbe infima come sarà domenica prossima”. Siamo certi che lo sarà? “Lo sanno gli stessi promotori”. A proposito, quanto incide l’indirizzo di voto, babelico, dell’opposizione? “Da cittadino, dico che i temi oggetto del referendum hanno sempre valenza ideologica. Questo, in particolare, mira a smantellare la stagione renziana”. Perciò il Pd si frammenta. “Non solo. Se aggiungiamo che attorno all’unico quesito apparentemente condiviso a sinistra, e cioè la cittadinanza, il M5s si sfila, è evidente che tutto refluisce sul problema del quorum. Anche in questo caso: se le regole fossero meno aggirabili, le posizioni politiche ne terrebbero conto. Se tutti fossero indotti ad andare a votare, le posizioni sarebbero chiare. E si tutelerebbe un istituto fondamentale. Un contropotere a oggi non praticabile”. 

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