
Foto Ansa
l'editoriale del direttore
Macron e Meloni non si sopportano, ma non sono poi così lontani
Lui è l’antisovranista per eccellenza. Lei gli appare come una copia incipriata di Marine Le Pen. La parabola di Meloni ci dice però che entrambi sono lo specchio di un’Europa complementare, che ha saputo scegliere tra populismo e pragmatismo, tra demagogia e realtà
Lui, ai suoi occhi, rappresenta l’immagine perfetta di tutto ciò che lei non può sopportare. Lei, ai suoi occhi, rappresenta l’immagine perfetta di tutto ciò che lui non può non detestare. Lui, ai suoi occhi, è il simbolo genuino di tutto quello che, prima di arrivare dove si trova oggi, lei combatteva, e ora combatte meno. Lei, ai suoi occhi, è il simbolo genuino di tutto quello che, negli ultimi anni, lui combatteva, e ora combatte meno. Giorgia Meloni ed Emmanuel Macron, che domani si incontreranno a Roma, sono fatti per non capirsi, e questo lo sappiamo, e al netto degli sforzi diplomatici che ciascuno dei due staff ogni tanto cerca di fare, per smussare gli angoli delle diffidenze, la distanza incolmabile tra la premier italiana e il presidente francese è fatta per resistere nel tempo. Meloni non sopporta Macron per ragioni insieme politiche e psicologiche. Macron, con il suo europeismo sfacciato, con il suo globalismo rivendicato, con il suo anti populismo sfrontato, è il riflesso perfetto di ciò che il partito di Meloni ha sempre combattuto, e per quanto si possa cambiare nel tempo, alcuni tic restano ancora oggi.
Macron, agli occhi di Meloni, è l’antisovranista per eccellenza, è lo spocchioso simbolo della grandeur francese, è l’immagine in purezza di quel mondo della finanza che Meloni tenta ancora di tenere lontano anche se ormai vi è immersa anche lei fino al collo. Meloni non sopporta Macron perché considera, come molti altri premier del passato, velleitario, fuori luogo e irresponsabile il tentativo di Macron di usare l’Europa per difendere i propri interessi, di cercare sempre una via per provare a infilarsi in tutti i pertugi lasciati aperti dalle nuove coordinate del disordine mondiale. E così, agli occhi di Meloni, la Francia di Macron è un paese di falsi amici, un paese di cui diffidare, per ragioni più prepolitiche che politiche, perché Macron in fondo, per Meloni, è come uno specchio, che le ricorda tutto ciò che era e tutto ciò che è. Uno specchio pericoloso da maneggiare perché è vero che Meloni ha molti episodi sgradevoli con Macron segnati sul taccuino (l’ex primo ministro che accusa Meloni di essere alla guida di un governo che calpesta i diritti, l’ex ministro dell’Interno che accusa l’Italia di essere un paese che alimenta la xenofobia, l’agguato diplomatico con cui la Francia ha cercato di creare una distanza con l’Italia al vertice di Borgo Egnazia parlando di aborto, le riunioni dei volenterosi che hanno messo in difficoltà Meloni per il suo non voler acuire la distanza che esiste tra Europa e America sul tema della difesa dell’Ucraina). Ma è anche vero che Meloni sa che il problema più grosso quando osserva Macron è che sulle principali partite economiche e politiche europee le sue posizioni sono più vicine a quelle del riluttante alleato francese che a quelle del teoricamente solido alleato leghista. Come Macron, Meloni considera l’intervento dello stato in economia non come un tabù, vedi il caso delle banche. Come Macron, Meloni appoggia la Commissione europea di Ursula von der Leyen. Come Macron, Meloni combatte contro i dazi di Trump. Come Macron, Meloni ha votato a favore del nuovo Patto di stabilità europeo. Come Macron, Meloni ha votato a favore del Patto sulle migrazioni e l’asilo. Come Macron, sta cercando di trovare soluzioni pragmatiche per evitare che ad avere l’ultima parola sulle politiche migratorie possa essere il potere giudiziario e non quello politico. La rivalità tra Macron e Meloni è fatta anche di altri dettagli, dettagli sfiziosi, e nella diffidenza reciproca tra Meloni e Macron pesa il tentativo di Meloni di provare a riempire il vuoto lasciato dalla Francia in Africa (via Piano Mattei), pesa il tentativo di evitare l’avanzamento francese in Libia (l’Eni resta un presidio), pesa anche la sfida reale che esista tra Francia e Italia sul tema dell’attrattività europea (nel 2024, gli investimenti diretti in Francia sono stati tre volte inferiori a quelli in Italia) e pesa il tentativo nemmeno troppo implicito di non riuscire a non considerare Macron come il capofila di tutto l’establishment finanziario, europeo, globalista, internazionalista che nei momenti di difficoltà per Meloni può diventare anche una valvola di sfogo per le manie cospirazioniste del governo – when in trouble, go to complotto. Ma la descrizione della grande diffidenza tra Meloni e Macron sarebbe incompleta senza considerare le ragioni, sbagliate, che spingono Macron a ritenere Meloni come un avversario di cui diffidare più che un alleato da conquistare. Il punto è semplice ed è un punto dirimente per capire l’insanabilità dei rapporti tra il premier italiano e il presidente francese. Macron considera Meloni una copia incipriata di Marine Le Pen e vede nella sua legittimazione il rischio di una legittimazione di Le Pen. Macron non è l’unico capo di stato o di governo in Europa a intravedere un tema di questo genere, è ovvio, e seppure in una misura minore anche agli occhi del primo ministro spagnolo il volto politico di Meloni ricorda quello minaccioso dei Fratelli di Vox. Il ragionamento di Macron però non è solo miope. E’ anche autolesionista. Perché l’odio mal nascosto di Macron per Meloni non solo consente a Meloni di avere una carta a disposizione per giocare con il vittimismo ma è anche un odio che nasce da una considerazione errata: Meloni uguale Le Pen. Il paragone tra le due donne simbolo del sovranismo europeo non regge per ragioni diverse. Meloni, a differenza di Le Pen, da quando è al governo ha fatto una scelta europeista, ha tenuto lontano in Europa il gruppo dei patrioti, non ha mai avuto titubanze di fondo sulla difesa dell’Ucraina, non ha mai lisciato il pelo al putinismo, e di base Meloni vista dall’ottica macroniana rappresenta l’esatto opposto di quello che vorrebbe dimostrare Macron. Meloni non rappresenta la pericolosità del lepenismo che arriva al potere ma l’inevitabilità da parte del sovranismo di smentire se stesso quando si trova al governo. Se Macron volesse dunque utilizzare Meloni come il simbolo della tossicità del sovranismo avrebbe una chiave semplice da utilizzare in chiave anti lepeniana: la dimostrazione del fatto che il nazionalismo è tossico è tutta nella parabola di Meloni, costretta a rinnegare la sua storia per non farsi piegare dalla realtà. Sono fatti per non capirsi, sono fatti per non comprendersi, sono fatti per diffidare l’uno dell’altra, ma messi uno di fronte all’altra, Macron e Meloni sono lo specchio di un’Europa non alternativa ma complementare, perché con metodi e idee diverse hanno trovato un modo per mostrare la scelta giusta nei propri paesi di fronte al bivio più pericoloso della nostra contemporaneità: nazionalismo o europeismo, populismo o pragmatismo, demagogia o realtà.


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