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l'incontro

La convergenza di fondo che Meloni e Macron non possono ignorare

Jean-Pierre Darnis

Con l'incontro previsto per il 3 giugno si ristabilisce la normalità nei rapporti bilaterali italo-francesi. Il temporaneo blocco delle relazioni ha rappresentato un disfunzionamento paradossale perchè – seppur ci siano delle diversità di approccio su alcuni temi – esiste una grande convergenza in materia di analisi strategica tra le due nazioni

Roma. L’incontro tra Giorgia Meloni ed Emmanuel Macron del 3 giugno rappresenta un’evoluzione positiva nei rapporti bilaterali tra Italia e Francia. Il significato più rilevante risiede nella ripresa dei rapporti diretti tra il presidente del Consiglio italiano e il presidente della Repubblica francese. Emmanuel Macron aveva incontrato Giorgia Meloni a Roma nel settembre 2022. Ma questo incontro, come altri successivi, non costituiva una visita bilaterale, bensì un dialogo a margine di un altro evento. La presidenza della Repubblica francese ha dunque compiuto un passo formale nel richiedere questo appuntamento, il che, nel linguaggio diplomatico, rappresenta un atto di cortesia verso l’Italia, una mossa che ha suscitato l’apprezzamento degli ambienti diplomatici romani. Di fatto, si ristabilisce la normalità nei rapporti bilaterali italo-francesi. 


Nel 1981, le convergenze tra socialisti francesi e italiani avevano portato all’istituzione di un vertice governativo bilaterale annuale. Questo ciclo è proseguito in modo quasi ininterrotto fino al bilaterale di Lione nel settembre 2017. Nel 2018 e 2019, le incomprensioni tra l’esecutivo Conte I e la presidenza Macron, con una crisi nei rapporti bilaterali, avevano creato un’interruzione. L’ultimo vertice bilaterale si era tenuto a Napoli nel febbraio 2020, quando la presidenza Macron e il governo Conte II avevano rilanciato il dialogo. Con il governo Draghi si è poi registrato un deciso progresso nelle relazioni bilaterali con la firma del Trattato del Quirinale nel novembre del 2021, un passo  sostenuto dal presidente italiano, Sergio Mattarella. Il Trattato del Quirinale ha ripreso il dispositivo dei vertici governativi annuali, aggiungendo però ulteriori misure come la partecipazione incrociata dei ministri ai Consigli dei ministri dell’altro paese ogni trimestre o la creazione di una vera e propria roadmap bilaterale. Ma la fine dell’esecutivo Draghi è stata segnata dall’emergenza ucraina che ha relegato in secondo piano altre dimensioni diplomatiche. 


Con l’esecutivo Meloni, questo trattato bilaterale è entrato in funzione a livello ministeriale, con una crescita della cooperazione e della fiducia in molti dicasteri chiave: Esteri, Difesa, Trasporti, Ricerca, Industria, ma anche Interno, una materia spesso segnata dalle difficoltà di dialogo sulla gestione dell’immigrazione. I rapporti tra le varie figure governative sono quindi piuttosto buoni, agevolati dai dispositivi di consultazione permanente previsti dal Trattato. Anche il ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, spesso critico nei confronti di Macron, intrattiene buone relazioni con il suo collega francese Philippe Tabarot. Il progresso di queste interazioni tra ministeri riflette la crescita dell’integrazione tra due stati membri europei che devono sempre più coordinarsi per meglio governare alcune partite bilaterali e comunitarie. 


Il blocco delle relazioni ai vertici tra la presidenza francese e il governo italiano rappresentava quindi un disfunzionamento, per certi versi paradossale. Si può spiegare che in Francia la figura di Giorgia Meloni viene spesso associata, a torto, a quella di Marine Le Pen, principale nemica politica di Emmanuel Macron. E vediamo anche in Italia come l’antimacronismo viene sfruttato retoricamente da una classe politica sovranista che concepisce la competizione con il leader francese come un riflesso politico “naturale”, riportando in auge alcune idee ottocentesche. La situazione internazionale ci racconta però un’altra storia: quella di due paesi che non hanno mai fatto mancare il sostegno all’Ucraina, che si proiettano entrambi sul futuro dell’Europa e che si ritrovano a gestire i contraccolpi negativi della seconda presidenza Trump. Ci sono delle diversità di approccio su alcuni temi, ma esiste in fondo una grande convergenza in materia di analisi strategica. Tra l’altro, la virtù del dialogo strutturato in un quadro istituzionale risiede nella possibilità di comprendere meglio posizioni diverse, come per esempio l’approccio da tenere di fronte a un’Amministrazione Trump assai problematica. Possiamo quindi augurarci che questo incontro rilanci il vecchio automatismo dei vertici governativi Italia-Francia annuali, una formula che fu di grande utilità quando Mitterrand, Andreotti o Craxi scambiavano vedute sulla fine della Guerra fredda.

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