ve la meritate Elly Schlein

Da Gaza al Jobs Act: i riformisti del Pd non sono una corrente, ma una congiunzione

Salvatore Merlo

Nel Pd esiste una corrente che si muove con passo felpato e convinzione reversibile. Non fa opposizione, non fa governo, non fa rumore. Fa presenza. Li chiamano “riformisti”, ma ormai sono soprattutto i signori e e

Nel Pd esiste una corrente che si muove con passo felpato e convinzione reversibile. Non fa opposizione, non fa governo, non fa rumore. Fa presenza. Li chiamano “riformisti”, ma ormai sono soprattutto i signori e e. Non hanno un partito, hanno una congiunzione. Anzi due. Sono quelli che per esempio vanno alla manifestazione di Milano  il 6 giugno e vanno pure  a  quella di Roma il 7 giugno. E bisogna immaginarseli indaffarati a prenotare i treni per arrivare in orario. Qui e lì.  Con quelli che condannano l’antisemitismo e con quelli che evitano accuratamente di nominarlo. Con chi parla di genocidio e  con chi ritiene che sia una parola sbagliata. Con Calenda  e con Fratoianni. Con Schlein e con chi si chiede ogni giorno come sia potuta diventare segretaria del Pd. Essi non scelgono. Partecipano.

 

Una senatrice ha detto che “è importante esserci, per dare un segnale”. Non ha detto quale. Un europarlamentare ha spiegato che “servono gesti simbolici, non bandiere”. Come dire: andiamo, ma in borghese. E sono in buona compagnia: Guerini, Gori, Picierno, Madia, Delrio, Malpezzi, Gualmini, Zampa,  Verini, Maran. Essi sono pacati. Istituzionali. Incrollabili nella loro prudenza. Incapaci di dire un sì secco o un no deciso. Non sia mai che offendano qualcuno, o peggio, che li tolgano da una commissione parlamentare.

 

Quando Schlein ha firmato i referendum contro il Jobs Act, che loro avevano scritto, votato, difeso e incorniciato, cosa hanno fatto? Niente. Qualche colpo di tosse, una telefonata ai giornalisti: “Beh, non siamo tanto d’accordo… però… vediamo… ne parliamo…”. Fine. Sono passati dall’essere padri di una riforma al ruolo di lontani parenti imbarazzati. Sulle armi all’Ucraina? “Sì, ma con equilibrio”. Sulla mozione sul riarmo europeo? Schlein ha detto: “Astenersi”. E loro? Alcuni si sono astenuti. Altri hanno votato a favore. Altri hanno fatto finta di cercare il bagno. Tutti uniti nella loro splendida incoerenza. La prossima battaglia sarà contro il carisma. Perché persino l’entusiasmo crea frizioni.

 

Meglio restare lì, in attesa che il vento cambi. E se cambia due volte? Meglio. Così possono stare con chi lo cavalca e  con chi lo maledice. Per parafrasare Nanni Moretti: ve la meritate Elly Schlein.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.