
strategie e posizionamenti
Ecco come Meloni vuole avvicinarsi al Ppe, senza fretta né annunci, dopo la lezione romena
Dentro Fratelli d'Italia c'è chi parla di un approdo naturale nella famiglia dei Popolari in caso di bis a Palazzo Chigi. Le sbandate sovraniste rimetto al centro il futuro del progetto Ecr
“Tutti pazzi per Giorgia”, titolava ieri il Times. Ma forse il problema è proprio quel “tutti” che a livello internazionale diventano troppi, costringendo la leader, prima o poi a una scelta soprattutto in Europa dove il suo partito, Ecr, è diventato un “non luogo” politico. Quasi ininfluente. E allora ecco la domanda che ci si fa nei corridoi di FdI: entrare nel Ppe? Per Meloni potrebbe essere un percorso quasi obbligato, auspicato da chi dentro il suo partito è animato da pensieri lunghi. L’abbraccio con Vox (poi passata con i Patrioti), le scelte sulle presidenziali in Polonia e Romania riportano al centro l’utilità del contenitore Ecr, servito in una fase per uscire dal cordone sanitario a Bruxelles e adesso senza prospettiva.
Esiste l’obiettivo di un approdo nel Ppe? Per ora no, se però la premier dovesse vincere le prossime politiche c’è chi non lo esclude. Anzi. Giorgia Meloni è contraria a operazioni in laboratorio, è allergica ai consigli dei salotti e teme di essere scavalcata a destra (dalla Lega). Allo stesso tempo, con la forza dei fatti, in questi anni ha iniziato un percorso, non poco accidentato, che potrebbe portarla nella famiglia del Popolari europei. “Io nuova Merkel? Meglio la nuova Thatcher, se posso scegliere”, scherza quando qualcuno le prospetta questi scenari.
Non è un mistero per esempio che oggi la premier abbia imbastito un ottimo rapporto umano e politico con tre personalità tedesche come il cancelliere tedesco Friedrich Merz, la presidente della commissione Ursula von der Leyen e il presidente del Ppe Manfred Weber che tutte le volte che capita in Italia per incontrare Antonio Tajani, il suo vice, trova sempre il modo di vederla. Sembrano dettagli affastellati, ma messi insieme danno una sfumatura dei rapporti in corso fra leader dei conservatori e il mondo moderato che guarda a destra. A cosa potrebbe portare in Europa una svolta della premier di un paese del G7? Sicuramente a una centralità maggiore. Di sicuro, i segnali di un avvicinamento al Ppe superano quelli della rincorsa ai Patrioti orbaniani-salviani-lepenisti, che spesso c’è, anche se con risultati alla fine non proprio entusiasmanti. Se si ripercorre all’indietro il film europeo di Meloni si possono citare una serie di tappe abbastanza importanti. Piccoli sassolini.
Il primo fu il no al gruppone con Id (ora Patrioti) dei Conservatori per esempio. Quando l’allora leader di Fratelli d’Italia non partecipò al vertice di Varsavia e fece saltare il banco. Poi nella passata legislatura europea ci fu un voto segnante: quello per l’elezione di Roberta Metsola alla presidenza del Parlamento europeo dopo la morte di David Sassoli. Cioè la scelta – sotto la regia di Raffaele Fitto – di entrare in una maggioranza larghissima a sostegno dell’esponente maltese del Ppe. In quella circostanza – era il gennaio del 2022 – il gruppo di Ecr conquistò anche una vicepresidenza. Da lì a dieci mesi Meloni diventerà presidente del Consiglio e nel suo primo viaggio a Bruxelles da presidente del Consiglio in un giorno riuscirà a incontrare e smorzare le tensioni con la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, il presidente del Consiglio europeo, il liberale Charles Michel oltre Metsola (altra sponda all’Eurocamera, con la quale si incontrerà martedì a Bologna all’iniziativa di Confindustria). Una destra moderna e rispettata, senza stigma dell’impresentabilità addosso e nella stanza dei bottoni: a questo è servita e serve l’evoluzione di Ecr, di cui Meloni è stata presidente fino allo scorso dicembre. Dopo cioè aver portato a casa la vicepresidenza esecutiva della Commissione con Fitto, il più moderato della compagnia (più a suo agio con Weber che con Simion) più due vicepresidenze del Parlamento europeo. Nelle contraddizioni della politica europea va segnalato anche l’ingresso di Carlo Fidanza e Antonio Giordano, dirigenti apicali di Ecr, nell’Idu. E cioè l’alleanza internazionale di centrodestra, per di più con ruoli di vicepresidenti. In questo consesso, per dire, c’è anche Deborah Bergamini, una dei vice di Tajani in Forza Italia. Piccoli movimenti che spingerebbero Meloni verso una strada segnata in Europa. Non oggi e nemmeno domani. Ma la sorpresa potrebbe arrivare in caso di bis a Palazzo Chigi. C’è tempo.
Simone Canettieri