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l'editoriale del direttore

L'errore degli amici di Trump è non prendere sul serio il trumpismo

Claudio Cerasa

Non basta ridere delle sparate né tradurre quel che dice il presidente americano in formule innocue: gli alleati europei devono capire che il trumpismo esiste, incide, cambia le regole. Ignorarlo significa restare indietro. Sia quando Trump impazzisce sia quando ha ragione (vedi le spese militari)

Gli amici di Donald Trump dovrebbero iniziare a prendere il trumpismo maledettamente sul serio sia quando Trump dice cose fuori dal mondo sia quando Trump, pur vivendo fuori dal mondo, dice cose incredibilmente sensate. Gli amici di Donald Trump, in questo senso, dovrebbero iniziare a prendere il trumpismo maledettamente sul serio sia quando Trump promette di mettere a rischio il benessere dei paesi alleati, giocando con i dazi, con la globalizzazione, con il mercato libero, sia quando Trump, provando a rendere la vita più difficile ai propri alleati, indica delle strade giuste, come è successo negli ultimi mesi quando i partner degli Stati Uniti nella Nato sono stati costretti a ragionare sul futuro delle spese militari. Gli amici di Trump, invece, almeno finora, hanno scelto di prendere poco sul serio il trumpismo, sottovalutando in alcuni casi l’impatto devastante del trumpismo sui follower del trumpismo in giro per il mondo, vedi il caso dei conservatori del Canada e dell’Australia travolti dall’ondata anti trumpiana nei propri paesi, e sottovalutando invece il boost positivo che potrebbe avere il trumpismo nel trasformare un momento di caos assoluto in una grande opportunità di crescita. Il caso degli amici di Trump, in Europa, da questo punto di vista, è più che istruttivo, rispetto al tema della difficoltà a prendere sul serio il trumpismo.

Prendere sul serio Trump significherebbe, per loro, dover alzare le barricate contro chi cerca di minacciare la propria patria. Invece, per ovvie ragioni, gli amici di Trump, in Europa, cercano di districarsi adottando soluzioni creative. Alcuni provano a tradurre in modo creativo il trumpismo, cercando di renderlo presentabile, anche a costo di distorcerne il messaggio. Altri provano a dimostrare che ciò che i paesi colpiti da Trump pagano non è la cattiveria di Trump ma è la stupidità dell’Europa. Altri ancora provano a fischiettare camminando rasenti i muri cercando di essere trumpiani, sì, ma senza farsi notare troppo, per evitare di cadere nel buco nero dei trumpiani canadesi e australiani, travolti alle elezioni. I trumpiani, in Europa, lo abbiamo visto, riescono dunque a sopravvivere solo non prendendo sul serio il trumpismo. E prendere sul serio il trumpismo sarebbe utile non solo per affrontare le scelleratezze di Trump. Ma anche per provare a prendere ciò che di buono il trumpismo ha seminato. Il caso dei deficit europei sulle spese militari è esemplare.

Trump, lo sappiamo, ha minacciato l’Europa più volte su questo terreno, sostenendo di essere pronto ad allontanarsi dai paesi europei nel caso in cui i paesi europei inadempienti dovessero essere disallineati rispetto ai target indicati dalla Nato. Fino a oggi l’obiettivo della Nato è stato il due per cento del rapporto deficit pil sulla Difesa, il prossimo obiettivo sarà intorno al 3,5 e la storia dell’Italia da questo punto di vista è interessante. Un paese (trumpiano) che spende poco per la Difesa (l’1,54 per cento del pil), che ha messo in conto (trumpianamente) di migliorare qualcosina con la prossima Legge di stabilità (si salirà al 2,4) e che però (poco trumpianamente) dopo aver chiesto per mesi di avere maggiore flessibilità per spendere di più per la Difesa (linea Crosetto, non linea Giorgetti) si rifiuta di richiedere la clausola fissata dalla Commissione europea per poter scomputare dal calcolo del deficit nuove spese militari (la scadenza era il 30 aprile). Fonti del governo ascoltate dal Foglio sostengono che “il fatto di non avere ancora fatto richiesta di flessibilità non significa che la flessibilità non verrà richiesta”. La lezione però è sempre la stessa: nel bene e nel male, sia quando fa paura sia quando stimola una resilienza, sarebbe forse il caso, per gli amici di Trump, di iniziare a prendere sul serio il trumpismo, anche per provare a difendere la propria patria da una minaccia chiamata patriottismo trumpiano. E’ il nazionalismo, bellezza, e tu non puoi farci niente.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.