promesse non mantenute

Il ceto medio preso per il cuneo dal governo Meloni

Luciano Capone

L’Italia è il paese dell’Ocse che nel 2024 ha registrato il più forte incremento del cuneo fiscale (+1,61 punti), portando la pressione fiscale e contributiva al 47,1%. A pagare sono i salari medio-alti

Per la Festa dei Lavoratori, Giorgia Meloni celebrato i risultati positivi del mercato del lavoro: record del numero di occupati, aumento dei contratti a tempo indeterminato, riduzione del lavoro precario. La premier ha anche detto che, da ottobre 2023, i salari reali sono in aumento con una dinamica migliore rispetto al resto d’Europa. Se i dati positivi sul mercato del lavoro sono indiscutibili, quelli sulla dinamica dei salari sono quantomeno fuorvianti.

Non ha molto senso guardare la dinamica salariale a partire dal secondo tempo (ottobre 2023) anziché dall’inizio del film. Se si riavvolge la pellicola dal principio dell’ondata inflazionistica, la storia appare molto diversa. Lo fa l’ultimo Bollettino economico della Banca d’Italia che mostra sì, come dice Meloni, un forte aumento delle retribuzioni nel 2024 (+4%) per il rinnovo di molti contratti scaduti. Ma nonostante questo, scrive Bankitalia, a febbraio 2025 le retribuzioni contrattuali risultano ancora inferiori dell’8% rispetto ai livelli del 2021. Vuol dire che i lavoratori hanno perso, mediamente,  un mese all’anno di salario: la perdita di potere d’acquisto è stata più contenuta nell’industria (-5,1%), ma molto più intensa nei servizi (-10,2%). Nel confronto europeo è tra i risultati peggiori. Secondo l’ultimo Wage Bulletin dell’Ocse, tra tutti i paesi l’Italia è il terzo con il gap salariale più ampio da recuperare rispetto al livello pre-crisi.

Molto di questa dinamica retributiva lenta e tardiva dipende dall’inefficienza della contrattazione collettiva e su questo il governo potrebbe fare qualcosa attraverso una riforma da discutere insieme alle parti sociali. Ma ciò su cui si può fare di più è la parte fiscale, che peraltro è stata a lungo un vanto del governo Meloni che ha dedicato gran parte delle risorse in questa legislatura alla decontribuzione dei salari medio-bassi. Una misura che, però, ha creato non pochi problemi e distorsioni. Ad esempio un aumento del cuneo fiscale.

Pare paradossale, vista la quantità di risorse senza precedenti messe dal governo per ridurlo, ma è il dato che emerge dal rapporto Taxing Wages pubblicato dall’Ocse a ridosso del Primo Maggio. Il dato sorprendente del report è che, nel 2024, l’Italia è il paese dell’Ocse che ha registrato il più forte incremento del cuneo fiscale (+1,61 punti), portando la pressione fiscale e contributiva al 47,1%, al quarto posto dopo Belgio, Germania e quasi a pari merito con la Francia (47,2%). Un notevole balzo in avanti rispetto all’anno scorso, quando il tasso era rimasto pressoché invariato.

Da cosa dipende? Dal fatto che nel 2024 il salario medio – che nel 2023 era pari a 34.277 euro – è salito a 35.616 euro, superando così la soglia critica di 35 mila euro lordi annui al di sotto della quale i contribuenti beneficiavano della decontribuzione introdotta dal governo Meloni. Ciò vuol dire che questo incremento del salario lordo di circa il 4% ha prodotto un aumento dell’aliquota media del 7,5%. In pratica, come facilmente prevedibile, il disegno di quella misura ha fatto in modo che il rinnovo dei contratti si trasformasse in un salto d’aliquota, con una consistente riduzione del salario netto.

Si tratta di una forma di fiscal drag molto più brutale di quella che riguarda l’Irpef, che peraltro i redditi medi da lavoro avevano già subito in maniera più intensa nel 2023 (+2,36 punti secondo l’Ocse nel report del 2024). In pratica, mentre riducevano il cuneo fiscale ai redditi medio-bassi, la premier e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti lo aumentavano notevolmente ai redditi medio-alti. 

Ma nel dibattito pubblico non c’è spazio per una discussione basata sui dati: il fatto che il governo Meloni e Giorgetti abbiano ridotto le tasse ai lavoratori più poveri aumentandole alla classe medio-alta non fa comodo né alla narrazione della destra (meno tasse per tutti) né a quella della sinistra (più redistribuzione a favore dei poveri).
 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali