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Paradosso

Con il 4-1 alle regionali Schlein si prende tutto il Pd. Timori nella minoranza: quasi quasi ci conviene perdere

Ruggiero Montenegro    

La leader dem punta sul prossimo grande passaggio elettorale per blindare definitivamente la sua leadership e sfidare Meloni. Ma una parte del partito teme che con lei al comando sarà difficile arrivare davvero al governo. Cortocircuito

A microfoni aperti non lo dice nessuno: “E se davvero vinciamo le regionali? Chi la schioda più? Quasi quasi ci conviene perdere”.  Ma nei capannelli dem sono battute che ultimamente iniziano a circolare. E, scherzando, rivelano un timore che in una parte del Partito democratico sta pian piano prendendo piede quando si parla di Elly Schlein e delle prospettive (di governo) del partito. 

Il ragionamento è grossomodo questo: con un successo nei prossimi passaggi elettorali la leadership della segretaria sarà ancora più salda, quasi inscalfibile. E infatti tralasciando il Veneto, dove la battaglia è troppo ardua, in Puglia e Toscana una vittoria del Pd è invece data per scontata. Nelle Marche, con Matteo Ricci e un avversario non irresistibile come Francesco Acquaroli, ci sono buone possibilità di fare il colpaccio e strappare la regione alla destra. Lo indicano anche i sondaggi.  Mentre in Campania il disegno di Schlein –  il cosiddetto modello Napoli con il M5s, in chiave anti Vincenzo De Luca – giorno dopo giorno si fa più concreto così come la convinzione che la regione resterà saldamente al centrosinistra. Un quattro a uno complessivo che, dopo aver spostato il Pd a sinistra e imposto un pezzetto alla volta la sua linea sulla pace e sul no a riarmo, darebbe nuovo slancio alla segretaria. Non a caso, dopo le divisioni brussellesi, il partito si è ricomposto nei successivi passaggi parlamentari a Roma e di fronte all’ipotesi di un “chiarimento”, o di un congresso, tutti quanti hanno dovuto prendere atto che al momento non c’è nessuno in grado di contendere la segreteria. Figuriamoci dopo un successo elettorale. E poi, è un fatto, da quando ha vinto le primarie nel febbraio 2023, Schlein è riuscita nella non facile impresa di rivitalizzare un partito che era in caduta libera, l’ha ricompattato ed è risalita nei sondaggi, fino a ottenere un ottimo riscontro alle europee: oltre il 24 per cento, che su scala nazionale da quelle parti non si vedeva da un po’. Sono risultati che nel Pd tutti le riconoscono, le perplessità riguardano infatti il futuro. Schlein piace all’elettorato dem ma secondo molti non è in grado di andare oltre il classico bacino di riferimento. Ha tolto spazio alla quota più moderata e ai cattolici, e per di più – è quello che le rimproverano – fino a ora non è stata in grado di agevolare la nascita di una formazione più centrista, per allargare l’alleanza e creare una vera alternativa a Meloni in vista del 2027. Così ogni volta che leader del Pd rilascia un’intervista – “Quando saremo al governo....” – scattano i patemi democratici. Che tuttavia non riguardano più soltanto i (soliti) riformisti ma sconfinano in altre aree del partito. Ultimamente anche i rapporti tra Schlein e Dario Franceschini, che l’aveva sostenuta contro Bonaccini, sarebbero un po’ più freddi. 

Per il momento (e per ovvie ragioni) critiche e dubbi restano limitati alle conversazioni private, e alle battute tra Montecitorio e Palazzo Madama. Ma segnali di questo segno nel frattempo sono arrivati anche in chiaro da chi il Parlamento non lo bazzica più, da quei padri nobili della sinistra e del partito di cui Schlein non ha troppa simpatia. Pierluigi Castagnetti, tra i fondatori del Pd, lo ha detto senza mezzi termini qualche giorno fa, proprio al Foglio: “Schlein? Non basta. Ha spremuto tutto quello che si poteva spremere a sinistra”. E ancora: “Occorre una costola di centro”. Prima di lui, ad avanzare altre perplessità, erano stati gli ex premier Paolo Gentiloni e Romano Prodi. Senza dimenticare l’ex tesoriere Luigi Zanda, sempre pungente, che aveva chiesto apertamente di fare un nuovo congresso. Necessità condivisa da molti al Nazareno, se non fosse che l’ala critica ha mostrato in questa fase tutta la sua debolezza. Nessuno insomma vuole mettersi contro una segretaria che con tutta probabilità farà le liste al prossimo giro. Non resta allora che affidarsi al paradosso e sperare in qualche intoppo. “Quasi quasi ci conviene perdere”.   
 

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