Anniversario
L'antisemitismo alla carbonara nelle vignette del Fatto svela il volto di un giornale aguzzino dell'intelligenza e della satira
Il giornale di Marco Travaglio compie quindici anni, ma a volte fare informazione ed essere un quotidiano non sono la stessa cosa
La vignetta satirica è un recinto sacro, libertà e critica. Per dissacrarla con l’antisemitismo ci vogliono o l’ispirazione omicida degli anni Trenta tedeschi, conseguenze serie, oppure la stupidità di un giornale che celebra i suoi quindici anni di pura merda radunando tanta bella gente intorno al concetto di ebreo (ab)errante in didascalia a un Netanyahu con la kippah o all’idea che per essere più crudele Putin abbia bisogno di una sola cosa, la circoncisione. Conseguenze risibili ma senza sorriso, basta il compiacimento eventuale di Moni Ovadia o di Gad Lerner, collaboratori illustri della feccia antigiudaica capace di immaginare simili bassezze. L’opinionismo contro gli ebrei può dunque avere vita facile e complicità illustri in questo mondo di caricatura della libertà e della critica. E vedremo fino a che punto si spingerà, la complicità mondana e giornalistica, scusate il termine.
Il giornale di Travaglio, fascista di destra e corsivista dei giochi di parole, come ricordava Cossiga, compie quindici anni di diffamazioni, di calunnie, di oltraggi alla verità in nome della manipolazione quotidiana dei fatti e sa come suggellare i festeggiamenti del caso, con la nuova caccia all’ebreo per immagini. È importante che questo fogliaccio sia finanziato solo da chi lo legge e goda del suo spettacolare manto di propaganda, un finanziamento pubblico della canea e delle grottesche campagne politiche contro l’idea di stato che si fanno delinquenti e mafiosi e delatori e ladri veri sarebbe oltraggioso. Difatti se ne vantano, perché sanno quello che fanno.
Il problema non è la feuille de choux ma la comunità che la sostiene, gli intellettuali che gli si concedono con facilità abietta di melassa, i politici che ammiccano pensando di essere risparmiati dalla sua aura diffamatoria, che è blasone per chiunque abbia rispetto di sé, il mondo incantato dell’opinione facile che si raccoglie intorno a quello spettacolino o avanspettacolino dei bassifondi della furbizia italiana. Aspirando a Longanesi ma realizzando una prosa che avrebbe fatto schifo anche a Gianna Preda, rimpianta diva del qualunquismo anni Cinquanta, altro che Barbara Spinelli. L’importante è che dopo un certo tempo continuino a contare nulla, siano e perseverino pienamente nella loro funzione di riserva nera della stampa italiana, di piccolo organo della russificazione delle menti e dei cuori pulsanti della brutta gente che li circonda, e naturalmente che sfoggino l’odio dal fiume al mare nelle cronache negli editoriali e nelle supreme vignette da Terzo Reich alla carbonara. Non è scandaloso che profughi-bambini e in parte inconsapevoli del passato regime fascista, non delle sue poche glorie ma delle sue molte brutture, si accaniscano contro la democrazia e le sue regole, vestendo i panni dei censori della classe dirigente, dei partiti e dell’Italia sopravvissuta nonostante tutto alla crisi e scomparsa dei partiti, importante è che non smettano di mostrare il loro vero volto di aguzzini dell’intelligenza, della fantasia, del racconto almeno verisimile, della critica e della satira.
festa dell'ottimismo