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L'editoriale del direttore

Il diluvio dopo il vecchio Reddito di cittadinanza? Non è andata così, anzi

Claudio Cerasa

Adattamento, pazienza, lavoro creato. La stagione che ha visto accantonate le regole della riforma grillina è stata molto diversa da come  l’aveva immaginata il Movimento 5 stelle e i suoi follower politici. Numeri inediti

E’ passato un anno dal giorno in cui il leader del Movimento 5 stelle, Giuseppe Conte, ha evocato il “rischio di disastro sociale” sul Reddito di cittadinanza, promettendo di essere “pronto a tutto” per impedire il taglio, “anche scendere in piazza”. Ed è passato poco più di un anno dal giorno in cui il governo guidato da Giorgia Meloni ha scelto di cambiare le regole di una delle riforme più identitarie della stagione grillina di governo. Era il primo maggio del 2023, il governo portò in Consiglio dei ministri la riforma del lavoro, il Reddito di cittadinanza fu cambiato del tutto, la nuova riforma prese consistenza a partire dal primo gennaio del 2024 e molti sostenitori della vecchia versione del Reddito, compreso il Partito democratico che la riforma non l’aveva votata ma che della riforma era diventato sostenitore assoluto, come è successo con buona parte delle riforme promosse nel passato dal Movimento 5 stelle, sostennero che la cancellazione del vecchio Reddito di cittadinanza sarebbe stata un disastro per il paese. E’ andata davvero così?

 

Il Foglio è entrato in possesso di alcuni dati  che riguardano la nuova stagione del Reddito di cittadinanza e come era facile attendersi attingendo più all’agenda della realtà che a quella della demagogia le cose sono andate in modo molto diverso rispetto a come le avevano immaginate i follower politici del Movimento 5 stelle. I numeri, innanzitutto. A fine 2022, i nuclei percettori di Reddito di cittadinanza o di pensione di cittadinanza erano complessivamente 1.196.946. Di questi, a dicembre 2023, 476.429 non erano più destinatari del sussidio, mentre 720.517 ne risultavano ancora beneficiari. Di questi, ad aver chiesto gli scorsi mesi l’assegno di inclusione (Adi) sono stati 557.073 soggetti, ad aver chiesto il supporto per la formazione e il lavoro sono stati 29.336 mentre a non aver presentato nessuna domanda sono stati in 134.076. E ancora: dei soggetti che non hanno presentato alcuna domanda, quanti sono quelli che hanno trovato un lavoro? Quasi la metà: 55.225. Mentre coloro che sono risultati essere percettori di Naspi (cioè l’indennità mensile di disoccupazione erogata ai lavoratori, con rapporto di lavoro subordinato, che hanno perso l’occupazione) sono 3.846.

 

Fermiamoci un attimo a ragionare su questi numeri, che raccontano già una verità interessante. Intanto, primo punto: non è vero che il nuovo Reddito di cittadinanza ha creato una frana sociale tra i più bisognosi. Rispetto al 2023, ad aver perso il Reddito di cittadinanza sono 163.444 soggetti. Di questi, alcuni stanno cercando un lavoro (29.336: il supporto formazione lavoro, i cui numeri sono molto modesti). Altri, il lavoro lo hanno già trovato (55.225). Alcuni prendono un sussidio di disoccupazione (3.486). E altri ancora hanno presentato domande ma non sono risultati idonei a seguito di una serie di controlli (il numero è pari a 95.158). La logica è chiara. Un paese che cresce, che ha bisogno di manodopera, che crea lavoro, è un paese dove le opportunità si moltiplicano. Fino a quando il Reddito di cittadinanza era costruito in modo tale da disincentivare il ritorno dei percettori del Reddito nel mondo del lavoro, chi poteva scegliere se lavorare con uno stipendio basso o se poter ricevere un Reddito di cittadinanza a cui poi magari aggiungere qualche lavoretto di straforo sceglieva la seconda opzione. 

 

Con regole diverse, finalizzate cioè a sostenere chi non può lavorare, i famosi inoccupabili, chi può lavorare viene spinto a lavorare, a mettersi in gioco, e chi non può lavorare viene assistito come prima. Con un dettaglio in più da considerare. I dati raccolti dal Foglio indicano che tra coloro che hanno continuato ad avere una forma di assistenza da parte dello stato vi è stato un aumento del valore dell’assegno ricevuto. Il Reddito di cittadinanza medio, lo ricorderete, aveva un valore pari a 600 euro. Il nuovo assegno di inclusione, invece, ha un valore leggermente superiore di media, pari a 601,5 euro, a cui va aggiunto un importo pari a 199 euro di assegno unico universale per chi ha un figlio e un Isee basso (l’Isee è l’indicatore che serve per valutare e confrontare la situazione economica dei nuclei famigliari), assegno che invece non era possibile sommare al vecchio Reddito di cittadinanza che aveva già un coefficiente maggiorato per i nuclei con figli minori. Doveva essere un’ecatombe, un disastro annunciato, un flop assoluto, un nuovo allarme sociale, ma alla fine, un anno dopo la riforma approvata in Consiglio dei ministri e sei mesi dopo l’entrata in vigore della norma, la gestione del post Reddito di cittadinanza consegna all’Italia buone notizie: proteste poche, adattamento molto, lavoro discreto e meno divano per chi ha la possibilità di poter trovare un lavoro.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.