Sospensioni elettorali

Ecco come è andata tra Meloni, Giorgetti e Leo sul redditometro

Gianluca De Rosa

Il decreto del Mef è un atto amministrativo generale: non deve passare da Palazzo Chigi. Ma che il ministro e la premier non sapessero del provvedimento sul quale gli uffici del ministero lavorano da anni è improbabile. Un'indagine

Ieri il Cdm ha confermato la sospensione del decreto Leo, il documento che negli scorsi giorni ha scatenato gli istinti bestiali della maggioranza contro il “mostruso redditometro”. Gli strali di Lega e Forza Italia hanno costretto la premier Giorgia Meloni a smentire il suo fidato viceministro dell’Economia: “Non ci  sarà nessun grande fratello fiscale, ho incontrato Leo e abbiamo deciso di sospendere il decreto”. Sin dall’inizio, si è detto che né il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, né Meloni fossero stati informati da Leo dell’approvazione. Ma è davvero possibile? C’è una verità formale e ce n’è una sostanziale.


Formalmente Meloni e Giorgetti potevano non saperne nulla. Il documento, firmato dal viceministro il 7 maggio e pubblicato in Gazzetta ufficiale il 20 dello stesso mese,  è sì un decreto ministeriale, ma di natura puramente amministrativa.  A differenza di altri D.M., come i regolamenti di governo, che sono atti normativi, questo genere di decreti non deve passare per “preventiva comunicazione” al Consiglio dei ministri, né è necessario avere il  parere del Consiglio di stato e della Corte dei Conti. La distinzione è particolarmente problematica perché a differenza di un atto amministrativo di una regione o di un comune, un atto amministrativo governativo può avere, come in questo caso, comunque natura generale. Professori e giuristi anche all’epoca del decreto ministeriale del settembre 2015, quello che varò il redditometro del governo Renzi,  avevano già discusso di questo argomento in punta di fioretto. Fatto sta che anche questa volta il decreto ha seguito lo stesso percorso: è un documento puramente amministrativo. Almeno formalmente insomma la versione raccontata dal governo è credibile. Non c’erano ragioni formali perché  Giorgetti e Meloni dovessero essere informati della firma di Leo. Meno credibile è invece che entrambi non sapessero che da anni a Via XX settembre si riunisce un tavolo tecnico con tutti gli interlocutori necessari – Istat, Garante della privacy, Inps,  associazioni di consumatori – con lo scopo di redigere il nuovo atto.  Questo perché il decreto Leo altro non è che l’attuazione di una norma del 2018, il famoso decreto dignità voluto dal governo giallo-verde che aboliva il precedente D.M., quello del 2015, sul redditometro, ma prevedendo, a valle delle interlocuzioni con tutti i soggetti necessari, di ripristinarlo ponendo alcuni limiti all’Agenzia delle entrate. Anche per questo il decreto è stato approvato come atto amministrativo generale e non normativo: era indirizzato alle amministrazioni interessate – Istat, Garante della privacy, etc – e non ai cittadini. Insomma, come allora chi gridava  “Evviva l’abolizione” faceva propaganda, fa propaganda oggi chi si spella le mani per il mancato ripristino. La verità, lo sanno al Mef, lo sanno all’Agenzia delle Entrate, e si spera lo sappiano anche al governo, è che  uno strumento del genere è necessario per permettere di fare verifiche sugli evasori assoluti, e cioè su quei soggetti che non dichiarano alcun reddito, ma magari possiedono uno yacht. E d’altronde questa è stata sin da subito la versione fornita da chi è vicino a Leo: “Guardate che quello è un atto di secondo o persino terzo livello, una cosa che passa per gli uffici, andava fattola legge già c’era, questa è tutta campagna elettorale”.

 

E’ dunque per mere ragioni di comunicazione che ieri il viceministro si è dovuto prestare al teatrino del “chiarimento” in Cdm, rivendicato poi in conferenza stampa dal vicepremier  Salvini “Non ci sarà mai più il redditometro”. La mossa  serve a disinnescare la campagna elettorale che gli alleati di governo, non solo la Lega, ma anche Forza Italia, volevano costruire sull’argomento. Chissà se invece senza la notizia della pubblicazione del decreto, data dal Sole 24 ore il giorno successivo, se ne sarebbero mai accorti.  Durante il Cdm comunque Leo ha spiegato che un provvedimento del genere, pure corretto “con i preziosi consigli della premier”, andrà comunque emanato, a meno di non voler rimettere mano alla legge del 2018 e, aggiungiamo noi, rinunciare a fare la lotta ai grandi evasori.