(foto LaPresse)

Saverio ma giusto

Totonomignoli: tutti i "detti anche" alle europee. Non si sa mai

Saverio Raimondo

Giorgia, Elly, Pavone, Di Maio, Ultimo. Alcuni suggerimenti: Nicola Zingaretti detto "il fratello di Montalbano" e Matteo Renzi "Stai sereno". E poi l’altro, quello lì, hai capito dai, coso

Dopo che Giorgia Meloni ha lanciato la sua candidatura alle elezioni europee invitando gli elettori a scrivere sulla scheda elettorale semplicemente “Giorgia” (così poi la premier in Europa ci manda un’omonima a caso, tanto il livello della classe dirigente di Fratelli d’Italia quello è) – stratagemma poi certificato sulle liste elettorali, dove in effetti il nome della Presidente del Consiglio appare seguito dall’alias “detta Giorgia” (che io, fossi stato lo spin doctor di Meloni, avrei fatto seguire a sua volta da “detta anche ‘non la cantante’ ”) – dopo la mossa di Meloni dicevo, fra i nostri candidati è scoppiata la soprannome-mania: sulle liste elettorali è tutto un secondo, terzo, quarto nome, pseudonimi, nomignoli, nickname, nomi d’arte, nom de plume, avatar, vezzeggiativi, diminutivi, anagrammi. Più che liste elettorali paiono registri dell’anagrafe, ma hackerati da un burlone. Per votare Elena Ethel Schlein basterà scrivere “Elly”, per esprimere una preferenza per Letizia Maria Brichetto Arnaboldi sarà sufficiente scrivere “Letizia Moratti”. Alessandro Cecchi Paone (Stati Uniti d’Europa) si presenta, oltre che con il suo nome, anche con un paio di detti: detto “Cecchi” e detto “Pavone” (sì, l’animale: dice che lo scambiano per Rita, sì, la cantante); Roberto Vannacci (Lega) sarà votabile anche con il prevedibile nome di battaglia “il Generale”; mentre Sergio De Caprio (lista Libertà) è detto “Capitano Ultimo”, detto “Capitano”, detto “Ultimo”. Il record spetta però a Edmondo Tamajo (Forza Italia) detto “Tamaio”, detto “Edy”, detto “Edi”, detto “Eddy”, detto “Di Maio”: praticamente tu voti Forza Italia ma alla fine eleggi Luigi Di Maio – toh, chi si rivede!

La lista è lunga: Margherita La Rocca, detta “Rita”; Rossella Chiusaroli, detta “Ros”; Piergiacomo Sibiano, detto “Piga”; Antonio Cenini, detto “Cenno”; Tiziana Pepe Esposito, detta “Pepe”; Paul Kollensperger, detto “Paul”; Kateryna Shmorhav, detta “Katya”; Gianni Palazzolo, detto “Giangiacomo”; Mariapia Abbraccio, detta “Mapy”; Brando Maria Benifei, detto “Brando”, detto “Bonifei”; Claudio Borghi, detto “Borghi Aquilini” (che pare una località della Tuscia più che una persona). Tutto questo, secondo i candidati, è fatto per venire incontro agli elettori: che spesso sbagliano a scrivere i nomi sulla scheda, o se ne ricordano solo una parte, o in cabina elettorale si emozionano e vengono presi da un lapsus mentre si orinano addosso; e per non mandare il voto nullo si cerca così di renderlo valido in tutte le sue forme, comprese quelle più incerte o colloquiali. Da ciò emerge la cruda verità: politici ostaggi di elettori che manco sanno come si chiamano i loro rappresentanti in Parlamento o a malapena si ricordano il nome di battesimo del presidente del Consiglio, figurati il cognome. Altro che le preferenze: siamo costretti alle liste bloccate, ai nomi decisi dall’alto, che se fai fare all’elettore quello non è capace, è approssimativo e smemorato. Una volta si diceva “vota Antonio”; oggi sarebbe troppo complicato, “vota Antonio detto Tonio detto Totò”. A questo punto però, in un regime di par condicio dove vanno date le stesse opportunità a tutti i candidati, è necessario che anche gli altri (i pochi altri) che ancora non hanno provveduto si dotino di soprannomi validi sulla scheda elettorale. Ne suggerisco io alcuni: Nicola Zingaretti detto “il fratello di Montalbano”; Matteo Renzi detto “Stai sereno”; Piero Fassino detto “Chanel”; Antonio Tajani detto “quello vivo sul manifesto”. E poi lui, come si chiama, dai, quello lì, dai che mi hai capito, coso.

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