Passeggiate romane
Una Schlein già declinante e un Gentiloni come presidente
La segretaria resterà al suo posto anche dopo le europee, qualsiasi sia il risultato. Ma i maggiorenti dem non si fidano troppo e vorrebbero una sorta di diarchia con l'attuale commissario europeo, nel ruolo che oggi occupa Bonaccini. Una strategia che portebbe quest'ultimo a diventare capogruppo al Parlamento Ue
I maggiorenti del Partito democratico di tutte le correnti o quasi, perché gli unici che non sono stati interpellati sono i fedelissimi della segretaria, hanno avuto modo di parlarsi e confrontarsi in questi giorni. E hanno stabilito una linea d’azione comune per il dopo Europee. La premessa per tutti, anche per i big della minoranza interna, è che la leader non si tocca, qualsiasi sia il risultato elettorale. Non sarà un 19 o un 21 per cento a fare la differenza. Cambiare due segretari nel giro di tre anni è troppo persino per il Pd che è avvezzo a fare fuori i propri leader come se nulla fosse. Però gli esponenti di spicco delle correnti dem non si fidano più di Schlein e della sua capacità di gestire il partito. Perciò hanno deciso di fare un ulteriore pressing su Paolo Gentiloni. Sanno perfettamente che il commissario europeo vuole tenersi a distanza di sicurezza dalle beghe del partito e perciò si sono guardati bene dal riproporgli di fare il segretario. Per lui hanno pensato al ruolo di presidente del Pd.
Una figura, quella di Gentiloni, che per l’autorevolezza che ha e per le conoscenze che ha coltivato in questi anni a Bruxelles è in grado, secondo i maggiorenti dem, di assicurare al partito una rotta di marcia senza troppi sbandamenti. Insomma, l’obiettivo è la diarchia con l’idea che, tanto per fare un esempio, Sergio Mattarella preferirà parlare e tenere rapporti con Gentiloni piuttosto che con Schlein. Tutto ciò, ovviamente, dovrebbe avvenire a novembre, quando il commissario europeo avrà definitivamente concluso i suoi compiti a Bruxelles. La road map delineata dai big delle correnti del Partito democratico prevede però che il posto di presidente si renda libero per il prossimo autunno. Il che significa che bisognerà convincere Stefano Bonaccini, cioè l’attuale presidente dem, a lasciare quell’incarico. Ma come?
L’impresa non è facile, anche se il governatore dell’Emilia Romagna è uomo di partito abituato far prevalere l’interesse dei dem rispetto alle sue personali ambizioni. La difficoltà sta nel fatto che uno dei motivi per cui Bonaccini resisteva all’idea di candidarsi in Europa era la paura di finire in una sorta di esilio dorato, senza più poter toccare palla nei giochi interni di partito e nella politica nazionale. Perciò l’idea è quella di offrirgli il posto di capogruppo del Pd nel Parlamento europeo. Con un ruolo di questo tipo, Bonaccini sarebbe costretto a cedere la presidenza dem. Qui, però, subentra un’ulteriore difficoltà. A quel ruolo, infatti, ambisce anche Nicola Zingaretti. L’ex governatore, dopo aver siglato un accordo di ferro con Dario Franceschini nel Lazio, è convinto di risultare il più votato del Pd alle europee (eccezion fatta, ovviamente, per la segretaria). E sulla base di questa sua convinzione l’ex presidente della Regione Lazio aspira al posto di capogruppo degli europarlamentari dem. La situazione, dunque, è tutt’altro che semplice. Anche perché bisogna prendere in considerazione un altro elemento importante.
Schlein ha in animo di affidare a una donna il ruolo di capogruppo del partito a Strasburgo. E più precisamente a Camilla Laureti, che ha alle spalle già una legislatura e, quindi, una certa esperienza. Riusciranno i maggiorenti dem a districarsi in mezzo a queste difficoltà? Loro pensano di sì perché ritengono che l’obiettivo di avere Paolo Gentiloni alla presidenza del partito sia di primaria importanza.
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