L'editoriale

La nuova guerra per la libertà che combatte Israele riguarda tutti noi

Claudio Cerasa

L’Iran al centro dell’asse del male. La pace che si difende smascherando i campioni del disordine globale. L’Europa e in particolare l’Italia  impreparate a un’escalation dei conflitti in atto.  Che cosa ci dice l’attacco iraniano di sabato notte

Forza Israele. Lo storico Niall Ferguson sostiene da tempo che il mondo si trova a pochi centimetri geopolitici dalla terza guerra mondiale. E lo sostiene facendo leva su un fatto: l’accumulo di conflitti che si sta verificando simultaneamente in diverse regioni, in giro per il globo, ricorda da vicino alcune pericolose dinamiche che hanno accelerato il percorso verso il secondo conflitto mondiale. C’è una guerra in Europa, che è quella lanciata dalla Russia contro l’Ucraina. C’è la guerra a Gaza, nata dopo l’aggressione a Israele da parte dei terroristi di Hamas. C’è la guerra nel Mar Rosso, portata avanti dai terroristi degli houthi contro le navi commerciali occidentali. C’è la Cina che minaccia Taiwan. C’è l’Iran che sabato notte, come sapete, ha lanciato un attacco di droni e missili balistici senza precedenti contro Israele. E’ difficile dire se questi conflitti siano il preludio a un nuovo conflitto mondiale. Ma è difficile nascondersi di fronte a tutto ciò che questi conflitti ci dicono. Almeno quattro spunti di riflessione.

 

Il primo è fin troppo semplice da individuare: ovunque si rivolga lo sguardo in giro per il mondo, si scoprirà che a soffiare sul disordine globale, sul terrore, sul terrorismo, sulla minaccia armata contro le democrazie occidentali, vi è sempre un asse del male al centro del quale si trova l’Iran e al cui fianco si trovano di volta in volta i suoi proxies (Hezbollah, Hamas) o i suoi alleati (Cina e Russia).

 

Il secondo spunto di riflessione, anch’esso semplice da mettere a fuoco, è che ovunque si rivolga lo sguardo in giro per il mondo non si farà fatica a riconoscere che in modo pressoché sistematico i nemici di Israele coincidono perfettamente e chirurgicamente con i nemici dell’occidente, e anche per questa ragione non dovrebbe essere così complicato capire che le guerre che Israele combatte per la sua esistenza, per la sua libertà e per la difesa del suo popolo sono battaglie che Israele combatte per difendere confini ancora più preziosi dei propri: i confini delle democrazie occidentali, i confini delle società aperte, i confini dei paesi che, come Israele e come l’Ucraina, sanno cosa significa difendere la libertà, che sanno che in guerra ci sono regole da rispettare e che sanno che quando quelle regole non vengono rispettate è giusto risponderne di fronte alla legge e ai tribunali internazionali.

 

Il terzo spunto di riflessione che offre agli osservatori meno distratti il nuovo dramma vissuto da Israele coincide con una considerazione offerta qualche mese fa al Wall Street Journal da Yigal Carmon, il capo del Memri, il Middle East Media Research Institute. Quando i terroristi parlano, ascoltateli. Quando i terroristi minacciano, non fate finta di niente. Quando gli azionisti dell'asse del male dicono che colpiranno al cuore Israele (Hamas), che proveranno a cancellare Israele dalla carta geografica (Iran), che potrebbero non fermarsi all’Ucraina (Russia), che considerano Taiwan cosa propria (la Cina) vale la pena prenderli sul serio, vale la pena fare i conti con la loro realtà, vale la pena capire che non fare nulla, agitare solo una vaga deterrenza, significa spesso mostrare impotenza, e desiderio di non alzare un muro di fronte alle minacce dei nemici dell’occidente. 

 

L’ultimo spunto di riflessione, che si lega anche al ruolo delicato che ha oggi l’Italia all’interno del G7, riguarda un problema che ci tocca da vicino. Un problema che coinvolge l’Italia e che ha a che fare in particolare con l’Europa. Se si dà per buona l’idea che il mondo sia a un passo da un nuovo conflitto globale, se si dà per buona l’idea che i nemici del mondo libero siano quelli che combattono contro gli alleati dell’occidente, se si dà per buona l’idea che contro i nemici del mondo libero occorre difendersi, se si dà per buona l’idea che gran parte delle tensioni mondiali oggi si trovano a un passo dall’Europa, non si farà fatica a riconoscere che, su questo fronte, proprio l’Europa, e proprio l’Italia, sembrano essere ancora fuori dalla realtà. Non esiste un esercito europeo, e questo lo sappiamo. Ma non esiste nemmeno un esercito in grado di prendere decisioni veloci se i suoi interessi vengono toccati direttamente (com’è successo nel Mar Rosso), non esiste una solidarietà europea quando i nemici dell’occidente colpiscono gli alleati dell’occidente (l’Italia, da quando Israele è stata colpita da Hamas, piuttosto che fare di tutto per difendere il popolo ebraico ha scelto in modo decisamente scandaloso di interrompere il rifornimento di armi a Israele, cosa che non ha fatto la Germania, cosa che non ha fatto la Gran Bretagna), non esiste un’opinione pubblica decisa a spingere la politica a investire di più nella Difesa (Jens Stoltenberg, il segretario generale della Nato, ha detto che quest’anno si aspetta “che 18 paesi riusciranno a spendere almeno il 2 per cento del pil nella Difesa, ma purtroppo tra questi paesi non figura l’Italia, che per quest’anno ha riservato l’1,46 per cento del pil alla Difesa) e non esiste una consapevolezza del fatto che un’Europa i cui interessi nazionali vengono difesi costantemente da paesi non europei è destinata a soccombere (nella coalizione inedita che ha difeso Israele nella notte tra sabato e domenica, accanto ad Arabia Saudita e Giordania vi erano Stati Uniti e Gran Bretagna, e tra gli europei solo la Francia, mentre il premier spagnolo Sanchez, nelle stesse ore in cui il G7 ha condannato a parole gli attacchi dell’Iran, non è riuscito a trovare una sola parola per esprimere solidarietà a Israele, limitandosi vergognosamente a esprimere “massima preoccupazione” per gli eventi del medio oriente), non esiste un’opinione pubblica consapevole della drammaticità dei numeri degli eserciti europei, consapevole cioè del fatto che la forza militare complessiva di Russia, Iran, Corea del Nord e Cina arriva a 16.492.000 unità mentre la somma totale della forza militare europea arriva a malapena a 3.167.000 unità (se la terza guerra mondiale scoppierà prima che l’Europa abbia avuto la possibilità di rimilitarizzarsi, la storia la giudicherà meno favorevolmente di Chamberlain, ha scritto con triste ironia ieri il Times di Londra) e non esiste la consapevolezza di fondo che oggi l’unico modo per essere a favore della pace non è essere a favore del cessate il fuoco, del riporre le armi nella fondina, nell’abbassare i toni, ma è essere dalla parte giusta della storia, dalla parte di chi sa che la pace non si difende con la resa ma si difende anche colpendo i nuovi campioni del disordine globale. Forza Israele.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.