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il colloquio

Le piattaforme di streaming hanno un problema: l'algoritmo del conformismo. Parla Sangiuliano

Claudio Cerasa

Il rapporto con gli streamer, gli investimenti in Italia e il rischio di produrre solo ciò che non fa irritare: "C’è una predisposizione e assuefazione al pensiero unico", dice il ministro della Cultura

“Sono liberale, ma possiamo dirlo che c’è un problema?”. E diciamolo. “Il problema è l’assuefazione al pensiero unico”. Ma dove? “Sulle piattaforme”. E quali? “Le piattaforme di streaming”. Gennaro Sangiuliano, ministro della Cultura, è convinto che nel mondo della cinematografia mondiale ci sia un elefante nella stanza che nessuno vuole vedere. L’elefante è lì che si muove di fronte a noi, è lì che produce film, è lì che macina algoritmi ed è lì a mostrarci un guaio culturale che secondo il ministro andrebbe denunciato. Un problema che potremmo provare a sintetizzare così. Le piattaforme di streaming hanno trovato una formula attraverso la quale offrono agli spettatori solo ciò che non faccia irritare. Questo meccanismo ha indotto gli streamer a rischiare meno, a trasformare il conformismo in un dogma narrativo e ad alimentare la bolla perbenista del politicamente corretto. E alimentare quella bolla significa rassegnarsi all’idea che gli unici processi narrativi presentabili siano quelli che si rassegnano all’idea di assecondare un virus pericoloso: quello della limitazione della libertà d’espressione, quello della limitazione della creatività, quello della legittimazione della famosa cancel culture. “Sì”, ci dice Sangiuliano: “C’è un tema di contenuti. Da liberale penso che la libertà di espressione artistica sia un valore sacro e inviolabile. In sede di discussione del regolamento sulla libertà dei media, fra i ministri della Cultura Ue, ho chiesto e ottenuto la convergenza dei colleghi sulle cosiddette opinioni dissenzienti, quelle che divergono dal pensiero dominante. Per questo penso sia opportuno non nascondersi dietro a un dito quando si parla di piattaforme”.

Andiamo al punto. “A volte, c’è una predisposizione e assuefazione al pensiero unico mentre non c’è cosa più democratica e liberale del pluralismo delle idee, come ripeto spesso auspico sempre un metodo hegeliano: una tesi, una antitesi e chi ascolta trae liberamente la propria sintesi”. Sangiuliano sembra avallare la tesi sostenuta da alcuni osservatori convinti che le difficoltà incontrate in questa fase dai grandi giganti delle piattaforme siano legate anche al fatto che i contenuti elaborati seguendo l’algoritmo del perbenismo rischiano di essere respingenti per il pubblico e per la critica (agli Oscar gli streamer hanno ricevuto 19 candidature, a fronte di un solo titolo premiato, “La meravigliosa storia di Henry Sugar”, di Netflix: lo scorso anno Netflix di statuette ne vinse sei). “Gli schermi – dice Sangiuliano – dovrebbero essere plurali, ospitare tutte le diverse prospettive ovviamente compatibili con il riconoscimento dei diritti individuali e i valori occidentali. La cancel culture, invece, è una barbarie, una forma di talebanismo, la negazione della storia, delle culture, che invece possono dialogare se ben radicate nelle loro identità”.

Il ministro Sangiuliano – che rivendica l’iniziativa con cui il governo vuole spingere le piattaforme di streaming a reinvestire in prodotti italiani una quota superiore al passato dei loro ricavi ottenuti nel nostro paese – dice che “le piattaforme costituiscono certamente soggetti fondamentali del mondo dell’audiovisivo con cui bisogna dialogare, soprattutto sul fronte degli investimenti che possono fare in Italia generando valore per la nostra filiera. Ma devono essere coscienti che l’Italia non è un luogo come un altro”. In che senso? “Un esempio. Tony Vinciquerra, numero uno della Sony mondiale, ha promesso che nei prossimi film che verranno girati in Italia verrà valorizzato il patrimonio artistico italiano. Vede, l’Italia ha, nell’ambito dell’audiovisivo, fra le migliori e riconosciute professionalità al mondo e soprattutto ha valori unici: le sue città d’arte, il suo immenso patrimonio, le sue bellezze e paesaggi. Con le piattaforme, senza pregiudizi, occorre lavorare su questi due fronti. Occorre ricordare che le eccellenze si rispettano e si pagano. E occorre ricordare quanto è importante, per la nostra cultura, difendere la libertà dall’algoritmo del conformismo e dai dogmi del politicamente corretto”.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.