Il retroscena

La fragile tregua, a suon di sgambetti, di Meloni con Salvini e Tajani. "I conti dopo le europee"

Simone Canettieri

Dopo la Sardegna la premier vuole dare un segnale di unità del centrodestra perché teme l'Abruzzo. Ma intanto il vicesegretario del Carroccio attacca la leader: "E' tutta colpa sua"

 La vedono entrare in tarda mattinata a Palazzo Chigi schermata da occhialoni scuri da sole, anche se fuori non c’è il sole. Nessuno ha il coraggio di chiederle “buongiorno presidente, come va?”. La premier comparirà in pubblico, solo in tarda serata, spigliata e autoironica, all’hotel Hilton per un appuntamento informale –  senza domande – con la Stampa estera. Momento leggero con i corrispondenti stranieri. Certo, la capa della destra italiana sarebbe nera di umore per via della Sardegna (“che ho perso”), per i sospetti sul voto disgiunto manovrato da Matteo Salvini e dal Partito sardo d’azione (non tornano 5 mila preferenze). Di prima mattina da Palazzo Chigi partono i primi contatti con Paolo Truzzu, il grande sconfitto di Fratelli d’Italia, generazione Atreju, a cui viene data la linea: “Prenditi tutta la responsabilità”. E infatti così accade a Cagliari in conferenza stampa. Siccome la conferma dell’Abruzzo dell’ex gabbiano Marco Marsilio fa paura, Meloni deve a tutti i costi dare un’immagine di unità  per tranquillizzare l’elettorato. A L’Aquila il 5 marzo si presenterà  accompagnata da Tajani e Salvini. Un altro ko sarebbe complicato da gestire: Marsilio  nasce come dirigente dell’Msi a Colle Oppio, sorella assessore con Alemanno sindaco, moglie in vari staff patriottici. E’  considerato un fedelissimo di Meloni. Ecco perché, con l’occhio a una sfida molto vicina, dopo pranzo esce una nota anodina dei tre leader per dire che in Sardegna il centrodestra ha quasi vinto e che comunque si imparerà dagli errori del passato. 


Il partito ribolle. Con teorie anche stravaganti. C’è chi dice che Truzzu sia stata una scelta del territorio. C’è chi, tra i meloniani romani, dà la colpa a Giovanni Donzelli in qualità di coordinatore nazionale per avere dato il via libera all’operazione e c’è anche chi, come la minoranza roman-rampelliana, fa un discorso un po’ più tondo: “Stessa dinamica già vista con la scelta del carneade Enrico Michetti, Giorgia è bravissima, ma non condivide mai le decisioni”. Il mattinale di FdI “Ore 11”, supervisionato dal sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, sostiene che il bagno sardo sia “un fatto locale”. In generale a Fratelli d’Italia non resta, come si dice a Roma, che “consolarsi con l’aglietto” in quanto le liste di centrodestra a sostegno del candidato Truzzu hanno toccato quasi quota 50 per cento, peccato che il voto del presidente abbia raccolto cinquemila (fatali) voti in meno. L’importante è restare uniti, dice Meloni e lo fa ripetere anche a Salvini e Tajani. Di facciata è così. Tuttavia basta passare una giornata in Transatlantico – per un giorno enorme redazione romana dell’Unione sarda visto l’unico tema trattato – per capire che c’è dell’altro. C’è per esempio Andrea Crippa, vice di Salvini, con la licenza di dichiarare. Il leghista attacca Meloni per aver spodestato Solinas (“non ha ascoltato i territori: queste sono le conseguenze”). E poi rievoca la generosità di Berlusconi; dice che la leader non ha uomini all’altezza; che gli elettori hanno sempre ragione; che su al nord Fontana-Zaia-Fedriga superano sempre il voto delle liste e che a proposito del Veneto come si fa a non ricandidare uno che ha il 70 per cento dei consensi? Crippa, idolo del cronista che cerca un titolo per la giornata, dopo aver parlato con tutti si sposterà fuori dalla Camera per fare un punto con le televisioni e i videomaker chiamati alla spicciolata. Scusate, ma da chi è arrivato l’invito? “Dalla comunicazione di Salvini”. Tana. La strategia insomma è questa, almeno per la Lega. Forza Italia, con il sardo Pittalis abbastanza di buon umore per il capitombolo di Truzzu, pensa solo alla Basilicata, al bis di Vito Bardi, governatore uscente finito nel mirino dei veti della Lega. Per Fratelli d’Italia si può confermare, come spiega il capogruppo Tommaso Foti. Per il Carroccio no. O almeno siamo alle solite manfrine tattiche. Riassunto: tutti danno la colpa a Meloni per la scelta del candidato sbagliato in Sardegna, anche i suoi seppur sottovoce pena l’esilio nel Mali, c’è anche una timida contronarrazione del partito sul voto disgiunto orchestrato da Salvini, ma non regge. Il capo del Carroccio dissimula pace e armonia, ma poi manda il vice a picchiare su FdI. Il teatro della dissimulazione si nutre però di note congiunte perché preoccupa l’Abruzzo e non si può perdere nemmeno la Basilicata. Voce da Fratelli d’Italia: “Ci rivediamo tutti l’11 giugno”. E cioè quando i voti delle europee saranno stati pesati. A partire da quelli acchiappati dalla premier, pronta a correre come capolista. 
 

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.