Il ministro per gli Affari europei, per le politiche di coesione e per il Pnrr Raffaele Fitto (foto Mauro Scrobogna/LaPresse) 

L'analisi

Pnrr e progetti definanziati. Il Mef spinge Fitto a un accordo con i comuni

Giorgio Santilli

Via XX Settembre cerca un'intesa con i comuni per finanziare i progetti esclusi dal Pnrr attraverso una redistribuzione di bilancio. Le coperture previste arriveranno dal Piano nazionale complementare e dal Fondo sviluppo e coesione

I progetti definanziati dal Pnrr andranno avanti e troveranno una copertura con una girandola di spostamenti nel bilancio dello stato che portano 3,5 miliardi aggiuntivi appositamente destinati al rifinanziamento dei vecchi lavori e altri 9,4 miliardi di risorse integrative per il fondo rotativo del Mef che è un polmone finanziario utilizzabile all’occorrenza anche per questo scopo. Le coperture arrivano da rimodulazioni del Piano nazionale complementare, la costola aggiuntiva del Pnrr da 30,6 miliardi, e da un prelievo temporaneo dal Fondo sviluppo coesione di 8 miliardi.

Dei 3,5 miliardi sicuri, 1,6 vanno ai progetti urbani integrati che erano stati il principale motivo di scontro fra il ministro Fitto e i comuni. Considerando le risorse rimaste, si arriva a 2,5 miliardi che ricostituiscono pressoché integralmente la dote iniziale. Ma il dato più interessante del decreto legge Pnrr 4 approvato ieri dal Consiglio dei ministri è che tutti i progetti stralciati resteranno con un piede dentro il Pnrr, o meglio nel sistema Regis, la piattaforma della Ragioneria generale dello Stato che rendiconta lo stato degli interventi finanziati con il Piano di resilienza. Come anticipato dal Foglio, il Mef vuole continuare a monitorare strettamente i progetti esclusi da Fitto – che sono stati quasi tutti appaltati e in buona parte cantierati – come in una sorta di “riserva” che potrebbe tornare utile se, fra un anno, scopriremo che molti dei progetti rimasti dentro il Pnrr non marceranno. Ed è per questo che il Mef inserisce nell’articolo 12 del decreto legge un salvagente per opere che, dietro trattativa con Bruxelles, potrebbero rientrare nel Piano.

In questa chiave può essere interpretata anche la decisione di continuare ad applicare ai progetti usciti dal Pnrr tutte le semplificazioni e le misure acceleratorie vigenti per i progetti Pnrr. Non è, d’altra parte, l’unica misura con cui il Mef si cautela da eventuali contraccolpi che potrebbero arrivare sulla finanza pubblica dal fallimento di alcune scadenze di target e milestones del Piano, fallimento che inevitabilmente comporterebbe la restituzione a Bruxelles di somme già ottenute o la mancata acquisizione di quelle che dobbiamo ancora incassare. Viene introdotto anche un dettagliato meccanismo che farà pagare il conto di eventuali perdite in bilancio direttamente alle amministrazioni responsabili, sequestrando le risorse non spese ma ancora disponibili, riducendo altri investimenti, compensando somme dovute, addirittura tagliando la spesa corrente. Un regime di controllo che è anche un avvertimento che chi sbaglierà sarà messo alla pubblica gogna.  Il lavoro svolto dalla Ragioneria generale di ricostruzione del quadro finanziario con l’articolo 1 del decreto punta anzitutto a stabilizzare il contesto operativo in cui dovranno andare avanti i vecchi progetti esclusi. Un compito che la Ragioneria ha svolto con  diligenza, voce di spesa per voce di spesa, una piccola legge di bilancio ad hoc che concluderà il percorso, oltre che con il decretone enciclopedico Mef che contiene la lista aggiornata dei progetti Pnrr, anche con un provvedimento chiamato a riscrivere il Piano nazionale complementare. Un lavoro di pulizia che vuole dire addio a una stagione in cui il Pnc ha viaggiato all’ombra del Pnrr, facendo perdere le tracce del suo stato dell’arte. Non a caso, quindi, il decreto prevede un puntuale monitoraggio che serve a cambiare aria ma anche a mandare un ennesimo messaggio alle amministrazioni di mettersi in riga. La nuova stagione parte, però, con una sanatoria: non sarà applicato il definanziamento automatico ai ritardi di scadenze che emergeranno prima della riscrittura del cronoprogramma. Il decreto approvato ieri ha però soprattutto l’obiettivo di accelerare tutto quel che resta dentro il Pnrr, con una serie di semplificazioni applicabili in generale o ai singoli capitoli di spesa del Piano.

Fra le norme generali, di grande importanza è quella che porta al 30 per cento minimo l’anticipazione che il Mef erogherà ai singoli progetti, una misura che punta a garantire maggiore liquidità al piano. Fra le norme specifiche spiccano il commissario per gli alloggi universitari e l’attenzione data a Transizione 5.0, con la definizione di un piano di 6,3 miliardi in due anni, alimentato con i crediti di imposta in favore delle imprese impegnate nello sforzo di investire per salire sulla transizione ambientale ed energetica. Il credito di imposta supporterà nuovi investimenti in strutture produttive in Italia capaci di coniugare innovazione e riduzione dei consumi energetici. Sarà riconosciuto nella misura massima del 35 per cento per investimenti fino a 2,5 milioni, scalando fino al 5 per cento per investimenti oltre i 10 milioni e fino al limite massimo di 50 milioni per anno per impresa beneficiaria. Tra le norme che provocano polemiche l’attenuazione del vincolo di assunzione di donne, giovani e disabili per le ditte appaltatrici. Si applicheranno solo ai progetti partiti dopo il finanziamento Pnrr e quindi non ai vecchi progetti: fra i cantieri che vengono esclusi quelli dell’Alta velocità in corso prima del Pnrr. 
 

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