tra bruxelles e palazzo chigi

Agrovandali ed Ecovandali, la doppia morale del governo Meloni

Luciano Capone

Bloccare le strade e rovinare i monumenti. Se a farlo sono gli agricoltori è legittimo, se sono gli ambientalisti è esecrabile. Se per l’esecutivo non importa il metodo della protesta, ma le motivazioni è un problema per la democrazia

Hanno messo a ferro e fuoco Bruxelles e abbattuto una statua in piazza Lussemburgo, davanti alla sede del Parlamento europeo: hanno tirato un pezzo del monumento dedicato a John Cockerill, un industriale e filantropo belga dell’Ottocento, gli hanno dato fuoco e al suo posto hanno messo un fantoccio. I manifestanti hanno incendiato rifiuti e copertoni, rovesciato letame in piazza e lanciato uova contro il Parlamento europeo. Per sedare le proteste e proteggere le istituzioni dall’aggressione è dovuta intervenire la  polizia, con lacrimogeni per disperdere la folla e gli idranti per spegnere i roghi.


Eppure non si è sentita alcuna condanna da parte del governo italiano né da parte dei partiti di centrodestra. Perché a manifestare stavolta non erano gli attivisti per il clima – ovvero gli  “ecovandali”,  come li chiamano loro – ma gli agricoltori. Che per analogia andrebbero chiamati “agrovandali”.

 

Nelle immagini sono ben visibili le divise gialle della Coldiretti, la delegazione italiana d’altronde è una delle più folte di questo movimento di protesta. Facile per la destra denunciare i metodi illegali degli ambientalisti di Ultima generazione, ma come si fa a prendere le distanze dall’associazione che festeggia in piazza, insieme al ministro Lollobrigida, la legge contro la “carne sintetica” appena bocciata dalla Commissione europea per la violazione della procedura di notifica?

 

Prima della manifestazione a Bruxelles, in occasione del Consiglio europeo straordinario, le proteste degli agricoltori erano divampate in tutti paesi membri contro le politiche green dell’Unione europea. In Italia i trattori hanno paralizzato il traffico ai caselli autostradali e bloccato le principali arterie stradali. A Catanzaro c’è scappato un morto: un uomo è deceduto dopo un malore, mentre era in coda sulla statale bloccata da un picchetto. Tra i tanti focolai spontanei di protesta ci sono stati quelli di  gruppi più estremisti, una riedizione del “Popolo dei forconi” di un decennio fa, in conflitto anche con le tradizionali associazioni di categoria, che hanno bruciato una bandiera dell’Unione europea in piazza a Torino, mentre a Viterbo hanno dato fuoco a una bandiera della Coldiretti.

 

Di fronte a tutta questa devastazione, ai blocchi stradali, ai monumenti abbattuti e persino a un morto non si è registrata alcuna condanna da parte del governo, di solito così loquace quando a commettere azioni analoghe sono gli ecoattivisti. Nessun politico di destra chiede interventi delle forze dell’ordine per liberare le strade e garantire le libertà costituzionali degli altri cittadini, nessuno invoca multe salate o manette. L’unico comunicato di censura registrato è quello del ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida contro la bandiera bruciata. Ma non quella dell’Unione europea: quella della Coldiretti, sua stretta alleata. “Considero sbagliato e ingiustificato ogni atto di violenza, compreso bruciare le bandiere delle associazioni agricole come accaduto a Viterbo – ha dichiarato  –. A Coldiretti si deve la battaglia contro il cibo sintetico che l’Italia sta guidando anche in Europa con risultati eccezionali”.

 

Ci sono due ordini di problemi con l’atteggiamento del governo. Il primo è il doppio standard, o la “doppia morale” come si dice a destra. Se a bloccare le tangenziali, imbrattare i monumenti e versare zuppa di pomodoro sono gli ecologisti il governo risponde in maniera securitaria aumentando le pene prima con il “pacchetto sicurezza” e poi con la legge “ecovandali”; se invece a bloccare le autostrade, abbattere le statue e versare letame sono gli agricoltori il governo si schiera dalla parte dei manifestanti.

 

È un messaggio incivile per uno stato di diritto. Perché l’esecutivo sta implicitamente sostenendo che non importa il metodo della protesta, ciò che conta sono le motivazioni: è in base a queste ultime che va giudicata la legittimità dei metodi. Non conta più se si bloccano o meno le strade, ma se la ragione per cui lo si fa è protestare contro le politiche green europee perché sono troppo dure o troppo morbide. Nel primo caso, quello degli agricoltori, qualsiasi metodo diventa comprensibile. Nel secondo caso, quello degli ambientalisti, gli stessi metodi sono esecrabili. Eppure era stata proprio la destra a polemizzare quando giudice a Bologna, pur condannando gli attivisti di Ultima generazione, aveva riconosciuto come attenuante l’aver agito per "nobili motivi”.

 

Il secondo problema, è una conseguenza del primo. Perché legittimare i metodi illegali di una parte non fa altro che radicalizzare e alimentare la protesta, spingendo le altre parti a fare lo stesso. Se non di più. In una sorta di escalation del dissenso e del conflitto. Perché in ogni caso chi protesta ritiene che siano in gioco interessi supremi: gli agricoltori la sopravvivenza della propria attività economica, gli ambientalisti la sopravvivenza addirittura del pianeta. Per questo in democrazia il metodo è tutto: conta immensamente di più delle ragioni che muovono ogni gruppo sociale ad agire.

 

Se Giorgia Meloni e i suoi ministri condannassero gli “agrovandali”, a prescindere dalle loro rivendicazioni, renderebbero più credibili i loro attacchi contro gli “ecovandali”. Ma, soprattutto, si farebbe un passo avanti per farla finita con l’uso di certi metodi da parte di entrambi. 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali