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L'editoriale del direttore

Nel 2019 Meloni e Salvini giocavano con Mussolini e l'euro. Oggi chiedono più Europa

Claudio Cerasa

Cinque anni fa i partiti populisti minacciavano di volere abbandonare la moneta unica. Oggi invece si aggrappano a Bruxelles. Storia di uno spasso, con sorprese

I politici estremisti non mancheranno, d’accordo, ma le politiche estremiste, rispetto a cinque anni fa, non ci sono praticamente più. Puff. Sparite. Kaputt. C’è un dato interessante e poco valorizzato che riguarda la campagna elettorale che ci condurrà alle elezioni europee del prossimo 9 giugno. Quel dato riguarda una distanza siderale che esiste tra la campagna di oggi e quella di cinque anni  fa. Cinque anni fa, i partiti populisti, in tutta Europa, facevano paura, usavano parole grosse, minacciavano di uscire dall’euro, promettevano di interrompere il processo di integrazione dell’Unione, puntavano con forza sul sovranismo nazionalista e maneggiavano con disinvoltura una notevole gamma di exit. Oggi, invece, persino i partiti più populisti sono a disagio, per non dire in imbarazzo, se messi di fronte a ciò che promettevano cinque anni fa.

E per quanto i partiti più euroscettici possano impegnarsi a proporre candidati improbabili la buona notizia, rispetto a cinque anni fa, è che la parola exit è uscita dal vocabolario della competizione elettorale ed è stata sostituita dal suo contrario. Un tempo i populisti anti europeisti chiedevano all’Europa di fare di meno, mossi dall’idea che un’Europa più forte avrebbe tagliato le gambe alla sovranità delle nazioni. Oggi, invece, dalla bocca dei populisti euroscettici la critica più feroce che si sente pronunciare, rispetto all’Europa, è che così non basta, che quel che si fa non è sufficiente e che l’Europa deve assolutissimamente fare molto di più. Di più sull’immigrazione, di più sull’energia, di più sul mercato unico, di più sulla condivisione del debito comune. Cinque anni fa, ricorderete, Matteo Salvini, ai tempi del suo 33 per cento, candidava soggetti mica male come Antonio Maria Rinaldi, campione delle politiche contro l’euro, e Francesca Donato, all’epoca presidente di un’associazione di nome Progetto Eurexit. E cinque anni fa, ricorderete, il partito di Giorgia Meloni nel suo programma elettorale sostenne di voler “passare da questa Unione Europea a una Confederazione europea di Stati nazionali liberi e sovrani”, prometté battaglie “contro la finanza speculativa e le distorsioni dell’euro” e lanciò candidature prestigiose come quella indimenticabile di Caio Giulio Cesare Mussolini, pronipote del Duce, presentato in pompa magna dalla futura premier sulla scalinata del Colosseo quadrato, all’Eur, come grande “professionista, militare e patriota”.

Ma cinque anni dopo a essere cambiati non sono soltanto i partiti populisti ma è prima di tutto l’Europa. Scriveva nel 1976 Jean Monnet, ideatore della Dichiarazione di Robert Schuman, che nel 1950 lanciò l’Alta autorità della comunità europea del carbone e dell’acciaio, che “l’Europa si farà nelle crisi e sarà la somma delle soluzioni date a queste crisi”. E così in effetti è stato. Nel 2019, Donald Trump. Nel 2020, la ratifica della Brexit e la pandemia. Nel 2021, la crisi delle materie prime. Nel 2022, la guerra in Ucraina. Nel 2023, la crisi energetica. A ciascuna di queste crisi, l’Europa ha risposto con i suoi tempi, con i tempi di un diesel, ma il risultato è che cinque anni dopo l’Unione europea è più forte, è più integrata, è più solidale, ha strumenti nuovi che le permettono di essere più efficiente nella gestione dei problemi, strumenti come il Recovery e il fondo Sure, che hanno permesso ai paesi europei di affrontare situazioni difficili attraverso la creazione di un debito comune europeo, ha strumenti meno duri, meno rigidi e meno ottusi del passato per gestire fenomeni complessi (Patto di stabilità) e ha chiaro infine che per affrontare problemi ancora irrisolti deve andare verso un’Europa più solidale (sull’immigrazione), più veloce (basta unanimità), meno ideologica (sull’ambiente) e più attenta alla difesa della democrazia (Ucraina). Cinque anni fa, i populisti chiedevano meno Europa. Oggi ci sono persino populisti che chiedono più Europa. I Vannacci forse ci saranno, chissà, ma cinque anni dopo l’unica exit che conta in questa campagna elettorale è quella  dell’estremismo anti europeista. Cin cin

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.