Televisione

Mediaset si apre a Travaglio. Cade il veto anti Fatto Quotidiano

Carmelo Caruso

Grazie a Berlinguer (che spinge per avere Selvaggia Lucarelli) sta per sbarcare (dopo Scanzi e Lerner) pure Peter Gomez. Finisce l'epoca dei retequattristi Del Debbio-Porro-Giordano

Silvio Berlusconi gli ha spolverato la sedia, il figlio Pier Silvio gliela impaglia. E’ nata la televisione di Marco Travaglio ed è la vecchia Mediaset che ora tifa Travaglio. Sta per cadere, e definitivamente, il veto aziendale che impediva di contrattualizzare le firme-forca del Fatto quotidiano, nato per mandare alla forca Berlusconi. Oltre ad Andrea Scanzi, già ospite regolare della pro loco di Bianca Berlinguer, su Rete 4, uno dei prossimi opinionisti, sarà Peter Gomez. E’ il condirettore ed è autore, insieme a Travaglio, di “Lo chiamavano impunità”, il meridiano dell’antiberlusconismo. Nelle librerie antiquarie si trova ancora il volume due, “E continuavano a chiamarlo impunità. Ma è proprio vero che è stato sempre assolto? Come sono finiti i processi di Berlusconi & C.”. I titoli sono lunghissimi come gli anni che Travaglio, una sera, ospite da Lilli Gruber, diceva lo separassero da Mediaset. Era il 2016 e parlava di un embargo durato vent’anni: “Non posso metterci piede”. La pena ora finisce. Gomez va a fare la spalla nel nuovo preserale di Bianca Berlinguer che vuole come ospite pure Selvaggia Lucarelli, altra firma del giornale. Negli stessi minuti il Fatto andrebbe a rete unificate. Su La 7, a “Otto e Mezzo”, ospite fisso è Travaglio, mentre su Rete 4 opinionista sarebbe Gomez. Viene disarmata, in silenzio, senza neppure una cerimonia, la brigata dei retequattristi, Del Debbio-Giordano-Porro-Belpietro, i parà del fu Cavaliere.


Il ministro Francesco Lollobrigida la chiamerebbe sostituzione etnica. E’ la nuova pratica televisiva di Mediaset. L’idea è assemblare una nuova etnia di opinionisti, mettere fine al “retequattrismo”, la specialità della casa. Quando Pier Silvio Berlusconi e il suo “fisico”, l’addetto agli esperimenti televisivi, il direttore dell’informazione Mediaset, Mauro Crippa, hanno annunciato l’arrivo di Berlinguer, in pochi hanno capito che stavano per finire un mondo e un modo. Cosa sia il “retequattrismo” lo ha spiegato Aldo Grasso, il Papa della critica televisiva. E’ la televisione dei Del Debbio, Porro,  Giordano, le tre penne della destra, e prima ancora di Maurizio Belpietro. Da anni si suddividono il palinsesto, fanno opinione sui giornali che loro stessi hanno fondato e che dirigono. Sono trasmissioni riconoscibili, di destra, con ospiti anch’essi di destra, e con temi cari alla destra, a cominciare dalla sicurezza, il garantismo. E’ un canovaccio rodato. Le ragioni della sinistra, il controcanto, prima dell’arrivo di Berlinguer, venivano difese dai giornalisti come Piero Sansonetti. E’ un’informazione che sempre Grasso ha definito “tribale”, ma che ha fatto la fortuna del centrodestra unito, Salvini prima, Meloni dopo, senza dimenticare la ragion di casa che è sempre stata una: ristabilire l’onore di Berlusconi, smontare le inchieste sulla trattativa Stato-Mafia che venivano pubblicate regolarmente dal Fatto. Lentamente, dal giorno della morte di Berlusconi, si è cominciato a recidere il filo con Forza Italia, successivamente ad aprire al Fatto. Basta fare zapping per accorgersi che gli esperti di giustizia di partito sono scomparsi. Sono nomi che dicono poco ma che in Forza Italia significano molto. Uno di questi è Pietro Pittalis, deputato, ma se ne potrebbe elencare uno scaffale, proprio come i libri di Gomez e Travaglio, dai titoli “L’intoccabile. Berlusconi e Cosa Nostra”; “Il bavaglio”; “Il regalo di Berlusconi. Comprare un testimone, vincere processi e diventare premier”; “Regime. Storie di censure e bugie nell’Italia di Berlusconi”; “Le mille balle blu”. Gomez è stimato dalla destra ma è stato impossibile, prima d’ora, contrattualizzarlo a causa della sua libreria. Più che un veto era una carezza nei confronti di chi aveva fondato il gruppo. Sia Gomez sia Travaglio, come il resto del Fatto, sono amici antichi, compagni di professione, e di ballo televisivo, di Berlinguer. Come direbbe Meloni c’era dunque la “logica a pacchetto” dietro l’arrivo, difeso, cercato, della figlia di Enrico e solo oggi si capisce interamente. Non appena le è stata affidata la trasmissione, tra le richieste avanzate dall’ex direttrice del Tg3, ed esaudite, c’era quella di chiamare Scanzi, poi Lerner. L’otto gennaio, Berlinguer guiderà, in aggiunta,  il preserale di Rete 4 che per lei cambierà nome. Si chiamerà “Prima di domani” anziché “Stasera Italia” e anche qui dovrebbe invitare lo scrittore con la grappa, Mauro Corona. Berlinguer ha promesso che può battere Gruber. Dei suoi tentativi (il traino a sua misura, il cambio di palinsesto per favorirla) si è già scritto eccetto dell’ultimo. Sta cercando di rimodulare la pubblicità. Vuole ridurre l’intervallo, lunghissimo (cinque minuti) che precede l’annuncio della trasmissione dall’inizio vero e proprio. Vuole prendersi pure “l’oro”. A Mediaset alle 21.01 c’è un minuto chiamato “il minuto d’oro”. In tutte e tre le reti, per sessanta secondi, va in onda lo stesso spot, ecco perché d’oro. E’ impensabile che Mediaset rompa il minuto, ma solo perché, sulla pubblicità, comanda Publitalia e l’ad Stefano Sala. Ma anche di questo è quasi inutile scriverne. La storia più bella rimane sempre la storia degli sconfitti, dei “retequattristi”. Con i colleghi cominciano a parlare come i reduci della Grande guerra, anche perché, una loro speciale guerra, l’hanno combattuta: “Prima era la sinistra che ci serviva come foglia di fico, ora siamo noi a fare la foglia di fico del Fatto. La verità è con l’arrivo di Berlinguer abbiamo perso”. Si possono infatti vendere riviste, cedere quotidiani. Pure le teste si possono liquidare, come rami d’azienda. Il peggio che si possa fare è però quello che sta facendo Mediaset a loro. Li sta dismettendo come idea e probabilmente, un giorno, li pagherà pure per non lavorare. Il dolore vero sarà quando Travaglio li inviterà ospiti a Fuori dal Coro.

  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio