Il circo della politica

La dialettica felliniana clown bianco-augusto per spiegare perché nel mondo la sinistra cede terreno alla destra

Guido Vitiello

C'è il pagliaccio algido e saccente, oggi decisamente più di sinistra, e quello sproporzionato e pasticcione: la metafisica circense di Fellini racconta come la sinistra mondiale ha scelto una strategia comunicativa che sposta l'elettorato a destra per una meccanica tanto prevedibile quanto inevitabile

Sarebbe ora di uscire dal circo, ma uscire dal circo non si può: i picchetti del tendone segnano i confini invalicabili del nostro mondo. Possiamo girare in tondo quanto vogliamo, magari in equilibrio su un monociclo, ma alla fine della corsa incocceremo sempre nelle stesse due figure. C’è il clown bianco, con il suo cappello a pan di zucchero, la faccia infarinata e l’abito rutilante di paillette; e c’è l’augusto, il pagliaccio con il naso rosso e le scarpe smisurate. Se il primo è algido, austero, santimonioso e gonfio di spocchia, l’altro è goffo, anarchico, puerile e pasticcione. Federico Fellini ne fece lo yin e lo yang della sua metafisica portatile: sapeva assegnare infallibilmente all’uno o all’altro costume chiunque gli capitasse a tiro. Gadda, “un bell’augusto”; Pasolini, “un clown bianco del tipo aggraziato e saccente”. Papa Pacelli, un clown bianco; Roncalli, un augusto. Freud, un clown bianco; Jung un augusto: e così via. Ma non si tratta solo di additare dei caratteri individuali. Fellini aveva còlto infatti un arcano più grande, e cioè che i due tipi di pagliacci sono allacciati l’uno all’altro come gemelli siamesi, condannati in eterno a una sorta di dialettica buffonesca: il clown bianco genera l’augusto, che genera a sua volta il clown bianco, e così all’infinito: “Più vorrai obbligare l’augusto a suonare il violino e più egli farà scorreggioni con il trombone. Ancora: il clown bianco pretenderà che l’augusto sia elegante. Ma tanto più questa richiesta verrà fatta con autorità, tanto più l’altro si ridurrà a essere stracciato, goffo, impolverato”.


Questo novembre il cartellone del circo nazionale ha offerto molte variazioni sulla gag fondamentale. Un esempio è nelle prime pagine del pamphlet del linguista Massimo Arcangeli sul caso editoriale di Roberto Vannacci, “Il generale ha scritto anche cose giuste. Le false verità del senso comune” (Bollati Boringhieri). Vi si trova descritto un caso di scuola della dialettica bianco/augusto: l’intonazione pedagogico-pedantesca di tanti discorsi sulla correttezza politica, dice pressappoco Arcangeli, farà spuntare eserciti interi di generali Vannacci, colonnelli Vannacci, sergenti Vannacci e soldati semplici Vannacci. Il generale, autore di un libro che è carnevalesco fin dal titolo (“Il mondo al contrario”), è di tutta evidenza un augusto. Ma quanto più i clown bianchi pretenderanno di insegnargli a suonare il violino, tanto più lui e quelli come lui daranno fiato al trombone. Negli stessi giorni ho letto il nuovo libro a fumetti di Gipi, un augusto quintessenziale e adorabilmente poetico. Si chiama “Stacy” (Coconino Press), ed è ispirato al suo sciagurato incontro con una banda di clown bianchi indignati, che nel 2021 gli fecero passare qualche brutto quarto d’ora per via di una strip che a lui pareva un’innocua scemata, ma che i cappelli a pan di zucchero considerarono abietta. Quello che credeva fosse il suo mondo prese a trattarlo come un appestato – del resto le scarpe grosse dell’augusto sono fatte per inciampare, e il faux pas sociale fa parte del repertorio. Come ha scritto Raffaele Alberto Ventura in una intelligente recensione su Domani, il fumetto di Gipi è un piccolo apologo sul backlash, il contraccolpo delle campagne di ortopedia linguistica e sociale: se le cose continuano così, avverte Ventura, “a radicalizzarsi a destra saranno tutti i Gianni di questo mondo”. Di nuovo, la saccenteria del bianco genera l’augusto, un augusto che in “Stacy” si dipinge sul volto le insegne del clown demoniaco. Per finire, mi sono imbattuto nella chiusa rivelatrice di una riflessione di Francesco Piccolo sul dibattito seguito all’omicidio di Giulia Cecchettin: “Le regole sono cambiate, ma per cambiare gli uomini ci vuole un sacco di tempo. E però, intanto, quasi subito, gli uomini si sono già scocciati di queste regole”. La nostra gag circense si ripete ancora una volta: se il femminismo sceglie di indossare i panni del clown bianco, il maschio da rieducare reagirà con l’esasperazione riottosa dell’augusto. Non se ne esce. 


Il guaio è che la dialettica bianco/augusto è diventata, un po’ ovunque nel mondo, il canovaccio della polarizzazione politica, e i ruoli sono assegnati in modo piuttosto netto. “Oggi la destra è punk e la sinistra puritana”, ha scritto Ricardo Dudda, liberale progressista spagnolo, in un libro del 2019, “La verdad de la tribu. La corrección política y sus enemigos” (Editorial Debate). Altro modo per dire che la destra è l’augusto e la sinistra il clown bianco. Lo schema di Fellini funziona a meraviglia: Trump è un augusto maligno, Biden un clown bianco malinconico e gentile. Dell’argentino Milei non parliamo neppure – e forse è il caso di rileggere un pamphlet sullo stesso tema scritto due anni fa dallo storico boliviano di sinistra Pablo Stefanoni, “¿La rebeldía se volvió de derecha?” (Clave Intelectual), dove c’era l’essenziale per vaticinare il suo trionfo. Qui in Italia abbiamo cominciato con largo anticipo, quando un augusto strabordante e iperrealista, Silvio Berlusconi, ha ispirato la nascita di compagnie intere di clown imbiancati, pronti a riunirsi in girotondo o in qualche palazzetto. Marco Travaglio ha incarnato a perfezione il tipo del clown bianco che più bianco non si può. Il punto più basso del nostro circo nazionale è stato forse l’interminabile duello a distanza tra l’augusto Salvini e la bianca Boldrini, che della gag hanno dato una versione caricaturale e particolarmente scadente.

 

Quanto ai Cinque stelle, erano degli augusti così irritanti che molti – e io per primo – si sono trovati loro malgrado nei panni moralizzatori e un po’ ridicoli del clown bianco, perché la logica del circo ci trascina un po’ tutti, ed è difficile chiamarsene fuori. L’importante è capire (e sciaguratamente non lo si capisce) che il motore di questa dialettica non sono tanto dei contenuti ideologici, quanto la forma stessa dell’interlocuzione: la saccenteria del correttore, anche e soprattutto quando prende i modi melliflui dell’assistente sociale o del terapeuta, porta il corrigendo a esasperare teatralmente il proprio errore, quando di errore si tratta, perché rifiuta di accettare la premessa implicita con cui il clown bianco si colloca su un piedistallo morale e civile a lui superiore. Il risultato è che il bianco, provocato, s’impunta ancor più nella sua pretesa punitiva e sottilmente sadica di imporre all’augusto la propria regola. E’ un gioco delle parti, meccanico e prevedibile. Ma non è un gioco alla pari. Perché il pubblico, al circo, ride per le intemperanze dell’augusto, non per la rigidità distinta del clown bianco. E allora per quale ragione i clown bianchi continuano a produrre in serie gli augusti, e a dar loro occasione di prendersi tutti gli applausi? Fuor di metafora, perché una parte della sinistra mondiale ha scelto di adottare una strategia comunicativa che ottiene la conseguenza inintenzionale di spostare inutilmente a destra l’elettorato? La risposta, ancora una volta, la dà il circo: perché il clown bianco, più che della virtù, è innamorato del luccichio delle proprie paillette.