Il retroscena

Cdm post Giambruno, Meloni all'attacco di Forza Italia sul dl Energia e sulla nomina di Amato

Simone Canettieri

La premier tace ma blocca il provvedimento del ministro azzurro Pichetto Fratin e si dice "irritata" per la scelta voluta dall'altro forzista Barachini. Lollobrigida: "Per Mediaset nessun vantaggio"

La domenica in videomessaggio allude ad attacchi e cattiverie, meschinità e lotte nel fango: sono  le sue accuse politiche dopo i fuorionda di Andrea Giambruno. Il lunedì Giorgia Meloni tace, ma manda due segnali a Forza Italia colpita come da un elastico ben tirato. Il primo:  stoppa  il decreto Energia annunciato dal ministro Gilberto Pichetto Fratin. Il secondo:  fa sapere di essere “irritata” per la nomina di Giuliano Amato (a capo del comitato sull’intelligenza artificiale) voluta dal sottosegretario con delega all’informazione e all’editoria Alberto Barachini, forzista e già giornalista Mediaset: “Non sono stata avvisata”, dice a distanza di cinque giorni. Qui la notizia non striscia, ma cammina ad altezza d’uomo. Esce Francesco Lollobrigida da Palazzo Chigi: chi meglio del ministro della real casa per aiutarci a capire?

 
“Lollo” è contento perché oggi il centrodestra ha assestato “due schiaffoni”, li chiama così. Ovvero: “Abbiamo vinto in Alto Adige dove siamo il primo partito, a differenza di altri, e il collegio di Monza è andato a Galliani”. Quanto al grande sottinteso legato a Mediaset che produce la dolorosa Striscia, Lollobrigida risponde che l’azienda della famiglia Berlusconi non “ha mai ricevuto vantaggi e mai ne riceverà da questo governo”. 
Nessun occhio di riguardo, insomma, come ha detto Giovanni Donzelli ai cronisti domenica al teatro Brancaccio? Lollobrigida: “Concordo, nessun occhio di riguardo, certo. Va trattata come le altre imprese”. E’ il massimo che si può scucire in una giornata dove per la prima volta i colonnelli della premier, anche quelli più vicini, non sanno spiegare – come si deve – le accuse lanciate dalla leader nelle ultime 72 ore quando parla di attacchi violenti e tentativi di farle perdere la trebisonda. Siccome tutto è nato da Cologno Monzese il secondo passo sarebbe quasi logico o almeno si presterebbe a chiare ipotesi, ma il tema è spinoso. E così i profeti dell’esegesi meloniana fischiettano e se ne vanno tutti con le mani in tasca: questa è nitroglicerina da maneggiare con cura. Adolfo Urso, ministro del Made in Italy di FdI, con delega anche alle telecomunicazioni svicola davanti a chi gli fa queste domande perché lui, dice assertivo, si occupa di imprese. Ignazio La Russa, seconda carica dello stato, è infastidito dai cronisti che lo cercano per chiedergli delle parole della leader. Insomma, è tutto un grande equivoco politico, con una marea di non detti. Meloni pensa che ci sia stato un disegno contro di lei, o una mancanza di delicatezza, dietro alla manina di Antonio Ricci che non è stata bloccata? La premier in Consiglio dei ministri non parla della situazione politica. E si limita, con il suo silenzio, a rendere evidente un momento complicato. Meglio rincorrere i fatti. Come lo stop in Cdm al decreto Energia presentato dall’azzurro Pichetto Fratin. “Necessitava di approfondimenti tecnici su alcune misure”, è la versione ufficiale. A opporsi è stato Raffaele Fitto, ministro di Fratelli d’Italia con la delega agli Affari europei e anche al Pnrr. In particolare per due provvedimenti. La bozza del decreto presentava nella sua versione originaria l’ennesimo rinvio di un anno della liberalizzazione del mercato elettrico (ovvero la proroga della cosiddetta “maggior tutela”) e altre rinvii in materia di concessioni idroelettriche. Entrambe le norme, soprattutto la prima, sono in contrasto con il Pnrr: o meglio annullano due obiettivi già conseguiti, sulla cui base è stata già erogata la terza rata. Si sarebbe rischiato che la Commissione europea chiedesse la restituzione dei fondi. Nell’ultima bozza circolata del dl Energia entrambe le misure erano state tolte, ma evidentemente le divergenze politiche non erano state risolte: ecco perché se ne dovrebbe riparlare fra una settimana. Rimane sul tavolo il dato politico, accompagnato dai sospetti che circolano intrisi di veleni e amarezze nei corridoi di Palazzo Chigi.

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.