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Lo scaffale di Tria

Allargarsi a est toglie risorse e idee su come guardare a sud. La lezione di De Michelis

Giovanni Tria

Siamo arrivati impreparati all’esplosione attuale della pressione migratoria, a un Mediterraneo di nuovo in "ebollizione". L’Europa è assente e senza una strategia comune. Sembra solo proporsi di arginare l’influenza russa e cinese sull'Africa ma senza proporre credibili alternative

Con un’Europa in confusione, stretta tra una guerra a est e una crisi migratoria e di relazioni geopolitiche a sud, rileggere quanto Gianni De Michelis scriveva più di dieci anni fa (“Mediterraneo in ebollizione”, 2012 , Boroli editore) significa tornare al “pensiero”, all’analisi informata delle relazioni internazionali e degli interessi, tornare a ragionare sulla politica estera e sul futuro dell’Europa e del suo ruolo nel mondo. Tornare a dieci anni fa è utile per cercare di capire cosa è successo nel frattempo e quali siano stati gli errori e le miopie che ci hanno portato allo sbandamento di oggi.

“Mediterraneo in ebollizione” si riferisce alla cosiddetta “Primavera araba”, quell’insieme di rivolte che interessarono i paesi della sponda sud del Mediterraneo e che, è bene ricordare, mostrava una generazione che contestava regimi oppressivi e guardava con simpatia all’Europa, alla democrazia e non era pervasa da sentimenti di ostilità verso l’occidente in generale. Era il risultato di un’evoluzione positiva di questi paesi, di una loro crescita economica oltre che demografica, di un decennio in cui una nuova generazione, più istruita della precedente, si presentava sul mercato del lavoro. Queste erano le premesse di chi, come De Michelis, coglieva il nuovo di un’area del Mediterraneo allargato che per popolazione e sviluppo economico poteva rappresentare una regione protagonista dei nuovi equilibri globali che si stavano delineando. Si sarebbe dovuto riprendere il Processo di Barcellona e l’idea del Partenariato euromediterraneo del 1995 cambiando l’approccio delle “precedenti politiche europee per il Mediterraneo, fino a quel momento ancorate contestualmente allo sfruttamento delle risorse o a un’idea di assistenzialismo dei paesi della sponda sud, di derivazione coloniale e postcoloniale” (citazione dal libro di cui si parla) con la “volontà di superare il bipolarismo classico nord-sud che ha caratterizzato a lungo le relazioni euromediterranee, investendole di una dimensione nuova, multilaterale, fondata sulla cooperazione”. Ma la storia non è andata in quella direzione. La caduta dell’Unione sovietica e la fine della Guerra Fredda hanno cambiato il mondo.

 

L’Europa si è concentrata sull’allargamento a est e nel frattempo cadeva anche il mondo bipolare fondato sulla contrapposizione di due potenze. Da allora gli Stati Uniti hanno inseguito l’idea di una governance mondiale unipolare, con l’affermazione del primato economico-militare americano. Con le parole di De Michelis: “Unipolare non voleva dire ‘fare da soli’, ma non negoziare con la comunità internazionale le risposte ai problemi che via via si andavano profilando nello scacchiere di un mondo che era divenuto globale, svincolando gli Stati Uniti dai lacci delle alleanze permanenti e delle istituzioni internazionali”. De Michelis vedeva un cambio di rotta nella diversa impostazione, almeno retorica, di Obama. Breve illusione. Cosa è successo in questi ultimi dieci anni? Siamo arrivati impreparati all’esplosione attuale della pressione migratoria, a un Mediterraneo di nuovo in “ebollizione”, ma non per le rivolte giovanili in cerca di libertà e progresso economico, a una guerra in Europa e a una prospettiva di nuovo allargamento dell’Unione europea a est, ancora una volta senza alcuna preparazione e valutazione delle conseguenze economiche e istituzionali. Quest’ultima prospettiva mal si concilia con quella di concentrare nuovamente l’attenzione al Mediterraneo, dopo la risposta europea fallimentare alle primavere arabe. Perché mancheranno all’Europa le risorse, oltre che le idee. Il contesto è quello del crollo del sogno americano di un mondo unipolare, ma non dell’abbandono delle politiche che in quel sogno avevano trovato fondamento. Nel Mediterraneo e, soprattutto, nel continente africano che da sud si affaccia al Mediterraneo, l’Europa è assente e senza una strategia comune. Sembra solo proporsi di arginare l’influenza russa e cinese ma senza sponde credibili alternative, in assenza ancora di una politica americana che, al di fuori di promesse nelle conferenze internazionali, non ha ancora deciso cosa fare delle istituzioni internazionali multilaterali di cui non si fida più.