Matteo Salvini (LaPresse) 

L'editoriale dell'elefantino

Il neo Truce del rutto libero. Domandine a Salvini

Giuliano Ferrara

Il vicesegretario della Lega imputa alla Germania un’invasione di migranti simile all’occupazione nazista. Il rigurgito torna come strumento primitivo di comunicazione. Esiste un limite alla balordaggine?

Ieri il ceto politico, e altri sparsi, ha celebrato alla Camera una sinfonia sobria e ben riuscita in memoria del presidente emerito morto venerdì, Giorgio Napolitano. Sembrava tornato per un solo momento un paese freddo, razionale, emotivamente equilibrato, unito in un breve ma intenso atto memoriale di comune retorica repubblicana e nazionale. Salvini e i suoi erano tra gli officianti istituzionali, in mezzo a una sfilza di presidenti anche francesi e tedeschi. Eppure per loro nella politica quotidiana è tornata la logica del rutto libero, espressa stavolta con forte potere di immaginazione storica dal vicesegretario della Lega che ha imputato alla Germania un’invasione destabilizzatrice di migranti paragonabile all’occupazione del suolo patrio dopo l’8 settembre. Salvini il neo-Truce dà il “la”, e il concertino si fa bello delle più incredibili assonanze e dissonanze, di stridii e cachinni che sputtanano governo, maggioranza e istituzioni civili in Europa. E inducono Meloni a una rincorsa dubbia.

    

Il ritorno del rigurgito come strumento primitivo di comunicazione politica, a molti mesi dalla fatidica soglia elettorale per l’Unione europea e il suo parlamento, sconcerta e sorprende. Da molti anni ormai il senatore Salvini era impegnato in un’operazione di smantellamento della sua vecchia immagine ribalda, si era per così dire rimpannucciato partecipando al governo di unità nazionale e vincendo con gli alleati le elezioni politiche, ora litiga con il suo ex capo di gabinetto divenuto ministro dell’Interno, sparacchia a caso contro Bruxelles, Parigi e Berlino, ricomincia a usare un linguaggio sudicio sugli sbarchi di povericristi, che non sono un’invasione per quanto difficili da governare in un clima di forza e civiltà, eccita nei suoi il vecchio spirito massimalista e demagogico dell’epoca infausta del governo del contratto, quando leghisti e grillini prima maniera lasciarono tutti a casa e scapparono di casa facendo in un anno meno danni materiali di quelli verbali e d’immagine, fino al clamoroso suicidio dei pieni poteri e del Papeete.

 

Dal rutto a torso nudo e dai modi fascistoidi sembrava che i veri fascisti liberali della stagione di Meloni, subentrata con voti e poi con una certa aura di autorevolezza al casino organizzato degli anni passati, avessero, dopo le cure Franceschini e Draghi, emancipato un partito combattente che ha una classe dirigente di governatori e ministri seri ma è sempre pronto a sacrificarla pubblicamente in un comiziaccio baciasalami. Niente da fare, allo zelo istituzionale dei contraenti il patto di maggioranza il nuovo trucismo oppone grisaglie e rutti liberi, appena può impunemente sottrarsi a un comportamento minimamente decente.

         

Salvini non è mai un problema finché non diventa un problema. Ha più che dimezzato i voti quando ha giocato sull’assimilazione politica e di sistema, e questo lo cruccia, lo indispone, lo mette in pericolo tra la sua gente, che poi sarebbero i famosi deplorables, la minoranza qualunquista e sfasciacarrozze che la Lega dell’ex Truce voleva inglobare in un progetto nazionale e istituzionale evidentemente fallito. La sua debolezza relativa, compensata da un’alleanza vincente, ora crea debolezza e imbarazzo per la sua stessa maggioranza e per i suoi uomini di governo meno sprovveduti.

 

Uno deve decidere, o punta sul ponte o si butta continuamente dal ponte, risale e si ributta in uno spettacolo di autolesionismo e demagogia trita e ritrita. Il neo Truce non ha deciso e costituisce per questo un serio ostacolo alla pratica e all’immagine di destra conservatrice e di governo alla quale i veri vincitori delle elezioni di un anno fa sono attaccati e dalla quale non dovrebbero né vorrebbero scollarsi bruscamente. Lo si tollera pensando al monopoli elettorale, a una fase turbolenta da mettere nel conto, ma fino a quando, fino a che livello di balordaggine è possibile mantenere il timone della politica estera e di difesa, della politica finanziaria e delle alleanze decisive per questa nazione, come direbbe la capa del governo insidiato dalla burinaggine di un uomo del nord molto più cafone di qualunque borgataro e garbatellaro?

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.