Elon Musk e Giorgia Meloni (Elaborazione grafica Enrico Cicchetti)

Io sono Giorgia, tu sei Elon. Le vite parallele in due biografie

Michele Masneri

Pastori tedeschi, padri complicati e videogiochi “sparatutto”. Viaggio tra la Garbatella e il West, sulle tracce di Meloni e Musk

Sì certo, c’è la parte in cui avrebbe tagliato i collegamenti Internet ai poveri ucraini sul più bello, e c’è il momento in cui rilancia l’orgoglio astronautico americano con Space X, e quello in cui capisce che le banche sono pessime e deve fondare un nuovo sistema di pagamenti ed ecco PayPal, ma quel che più conta qui è che la tanto attesa biografia di Elon Musk scritta dal biografo delle star Walter Isaacson sia uscita ieri, lo stesso giorno del libro intervista a Giorgia Meloni da parte del neo direttore del Giornale Alessandro Sallusti. 

 
Partiamo dall’oggetto: “Elon Musk”, il libro americano, ha la stessa grafica del precedente, quello intervista a Steve Jobs, e Musk  ha le mani giunte come Barbara D’Urso nella famosa foto che le ha portato sfortuna. Nella “Versione di Giorgia”, invece, ecco Meloni in posa assertiva su fondo blu. In Italia sono pubblicati dallo stesso editore, Mondadori per Musk e Rizzoli (ma è sempre gruppo Mondadori) per Meloni.  In entrambi non manca la faticosa infanzia, come urge sempre nei libri di successo. Fondamentale la figura del padre, che per Musk non è un commercialista di Roma Nord che decide di aprire un chiringuito in Spagna come in una fiction di Rai 1 bensì è Errol  Musk, “personalità e dai comportamenti discutibili che ancora oggi è fonte di tormento per Elon” scrive Isaacson. Uno svalvolato sadico che lo bullizza fin dalla tenera infanzia, che costringe i cuginetti in visita a “lavare il water con lo spazzolino da denti” e lo fa andare in una specie di scuola paramilitare che in confronto Sandhurst è il Virgilio.  Il padre di Musk va a vivere non alle Baleari ma a Pretoria, in Sudafrica, mentre la mammma  di Musk per mantenere i figli non scrive gialli erotici come la signora Anna Paratore ma fa la modella. “Non era né tenera né affettuosa e lavorava senza sosta, ma quello, per noi, è stato un dono”, dice il povero Musk. 

 

Non manca in entrambi i bildungsroman  un pastore tedesco di casa, che a un certo punto morde il Musk bambino e viene abbattuto (con grande dispiacere per Musk bambino) mentre il cane lupo della morfologia della fiaba meloniana si chiama Ettore, e a un certo punto viene sparato da un cattivo agente di scorta di un politico anzia “pezzo grosso” che abita accanto a loro, quando ancora abitano a Roma Nord, “quartiere-bene”, e tutta la metafora sembra suggerire che bisogna fuggire in zone  popolari, dove abitano le persone buone, dunque alla Garbatella, a Sud! Va a Ovest invece Musk, che nel 1994 lascia gli studi promettenti e si butta in Silicon Valley per cavalcare la prima rivoluzione internettiana. Cerca di convincere degli industriali che le pagine gialle online saranno un ottimo investimento ma quelli non lo capiscono. Come Giorgia sta per un po’ alla Garbatella in un alloggio modesto, e dorme testa-piedi con la sorella Arianna, Musk prende in affitto un bugigattolo senza servizi a Palo Alto, dove il testa piedi lo fa col fratello Kimbal e le docce vanno a farle in un ostello (il fratello Kimbal poi non diventerà segretario organizzativo renitente del partito di Musk, bensì cuoco). 


Per inciso, pure Musk ha avuto una parentesi politica. Se oggi non si capisce bene da che parte stia, o anzi si capisce molto bene (Ma Isaacson dice che a lui in realtà Trump non piace), negli anni del college si candida senza successo a rappresentante di lista, con il promettente programma che se mai verrò eletto a qualunque carica si impegnerà  a mangiare il suo curriculum “in cinquanta copie stampate”, più o meno, mentre Meloni come è noto fu a lungo rappresentante di istituto e pure di classe, e, racconta nell’altra biografia “Io sono Giorgia”; che alla fine gliela fecero pagare tutta questa attività politica cambiandole materia alla maturità. Lei non mollò tutto fondando una startup come Musk ma minacciò di far ricorso al Tar, che in Italia conta più della Tesla. 
A proposito di case, Musk nel libro di Isaacson racconta di aver venduto tutte le sue ville in California tra cui quella di Bel Air di Los Angeles, pagata 17 milioni di dollari, e quella di fronte che era appartenuta a Gene Wilder. Isaacson dice che Musk ha venduto tutto per ritirarsi in una villetta a Boca Chica, in Texas, vicino alla sua base spaziale, perché non gli piace il lusso e pensa lo distragga dalle sue imprese. Meloni invece come si sa ha appena firmato il rogito per un villone con piscina, vicino non a una pista di missili ma al centro commerciale Euroma 2.   


Musk ha venduto le sue case, racconta Isaacson, anche perché ha capito che alla fine è meglio tenere un basso profilo (vabbè, pensa se era alto): soprattutto perché il figlio più problematico, Xavier, ha cominciato a odiarlo in quanto miliardario. Ti dicono: “Ehi, miliardario, ma quanta roba possiedi”. Be’, ora non possiedo più niente, e allora che fate?». Il figlio Xavier  però ha deciso anche di cambiare sesso, diventando Jenna.  Questo avrebbe portato Musk a sviluppare una certa transfobia e omofobia,  ma secondo Isaacson al padre sta più sulle scatole che il figlio nel frattempo diventato Jfiglia  sia comunista. Chissà Meloni: si arrabbierebbe di più se la figlia Ginevra diventasse Gino o si iscrivesse al Pd dell’Eur (o magari entrambi?).


Probabilmente entrerebbe anche lei in quella “modalità demonio” che è uno dei tratti più interessanti delle personalità multiple di Musk, come emerge dalla biografia, quel  “demon mode” in cui Musk combina qualunque cosa, come noi ordiniamo di notte robaccia di cui non  bisogno su Amazon o vaschette di gelato su Glovo lui compra o vende Twitter a mercati aperti. Quando è nel demon mode Musk è meglio non stargli vicino, lo dicono tutti, parenti e amici e mogli ed ex mogli, e chissà se diranno lo stesso per “Giorgia” anche se il demon mode lo si intravede soprattutto nelle conferenze stampa quando davanti a domande che reputa beffarde o insensate o offensive rotea gli occhi all’insù tipo esorcista della Garbatella e vorrebbe cannoneggiare i giornalisti. Sulla questione gender comunque Musk e Meloni sono abbastanza allineati, pur essendo Musk notoriamente affittuario di uteri. “L’omofobia, cioè il disprezzo per chi ha un determinato orientamento sessuale che sfocia nella discriminazione e perfino nella violenza, è una piaga inaccettabile e va combattuta con forza”, dice Meloni a Sallusti. E poi si dispiace molto per Arisa, che come si sa, in uno degli sbrocchi estivi, ha detto che stima moltissimo Meloni e dunque ha dovuto rinunciare a esibirsi al Pride.


 
Ci sono dei momenti in cui i due libri sono veramente interscambiabili: chi ha detto “Mi prenderai per presuntuos*, ma io non ho complessi di inferiorità nei confronti di nessuno. Mi sento liber* e assolutamente a mio agio di fronte a Joe Biden come a Xi Jinping”? E: “La più banale delle leggi economiche è che  il livello del debito coincide con la misura della tua libertà”?  In entrambi i casi è Giorgia, anche se nel secondo potrebbe benissimo essere Musk quando a un certo punto va a lavorare alla Bank of Scotia e cerca di convincere il suo capo a comprare titoli del debito di qualche paese sudamericano, ma non riesce, e si licenzia, perché capisce che non ama lavorare sotto padrone (chi l’avrebbe mai detto).  

 

Una gran differenza tra i due è invece che essere Elon Musk a parte l’eccesso di ville piace tantissimo a Musk, mentre a Meloni piace pochissimo fare la vita di Meloni. “Come vivi, personalmente, quest’esperienza?”, le chiede Sallusti. “È anche la domanda più difficile alla quale rispondere, Alessandro. Vuoi sapere se mi piace? No, non mi piace, e sapevo che non mi sarebbe piaciuto. Nel senso che sono mesi, saranno anni, nei quali si deve rinunciare a tutto. Come se la tua vita fosse sospesa. Molte delle persone che si ritrovano nella mia stessa situazione ripagano le rinunce con la soddisfazione personale di essere al centro della scena. Io in questo sono, diciamo così, particolare. Incredibile a dirsi ma non amo la visibilità, alla prova dei fatti sono perfino una persona timida, e dunque non ho questo contrappeso a compensare. Detesto girare con tante persone al seguito, detesto le sirene”. 

 

Mannaggia alle sirene. Interessante anche il diverso approccio dei due giornalisti: Isaacson ha messo in chiaro di non voler fare un libro-intervista, quindi che avrebbe piuttosto passato un sacco di tempo col suo “soggetto”, avendo accesso per due anni a tutta la sua vita, riunioni, pranzi, cene e quant’altro (poraccio). Mentre gli scambi Meloni-Sallusti sono invece domanda-risposta, spesso anche goliardici! A un certo punto Meloni parla dei tanti lavoretti che ha fatto da giovane, baby sitter, cameriera, guardarobiera, barista… Sallusti la interrompe: “guarda che stai parlando con uno che ha fatto il mozzo sui battelli”. Qui parte l’effetto cargo battente bandiera liberiana. Infatti Meloni risponde: “Non oso immaginarti vestito da mozzo di bordo, Alessandro”. Interessante notare che in nessuna delle due biografie si fa cenno al leggendario incontro avvenuto tra i due, a metà giugno a palazzo Chigi. Non ne parla Meloni, e, più prevedibilmente, non  ne parla nemmeno Musk. 

 

Un’altra passione in comune sono i videogiochi, soprattutto del genere “sparatutto”, ossessione che Musk usa per distrarsi,   tipo “Quake III Arena”, in cui il suo nickname è  Random9. Non si sa il soprannome di Meloni, che pure si sa invece essere appassionata anche lei degli sparatutto (uno sparatutto italiano venne presentato proprio a Meloni quand’era Ministro della Gioventù, nel 2011. Si intitola Gioventù ribelle ed è ambientato durante la presa di porta Pia (“Roma, 1870. Il generale Raffaele Cadorna, comandante delle truppe italiane, ordina a un bersagliere di consegnare una lettera scritta di suo pugno a papa Pio IX per intimargli la resa della città. Il soldato deve attraversare le catacombe della città, passare sotto le mura e Porta Pia per giungere infine al Quirinale. Durante il percorso dovrà poi combattere gli zuavi pontifici e la Guardia Palatina per riuscire a consegnare al pontefice l’importantissima missiva”). 

 

Libri: apprendiamo che la passione di Meloni per Tolkien è ormai conosciuta a livello internazionale. “Quando sono stata a Varsavia,  il primo ministro Mateusz Morawiecki – che conosce la mia passione per Tolkien – mi ha portato a prendere il caffè nel bar dedicato al Signore degli Anelli. Lì abbiamo chiacchierato davanti a un’enorme, e stupenda, mappa della Terra di Mezzo”. Dall’intervista con Sallusti vien fuori pure  un altro riferimento: Il conte di Montecristo, di Dumas. “E’ un libro che parla dell’importanza di non accettare che ci venga scippato ciò che siamo, e di combattere per riprendercelo se viene indebitamente sottratto. È un romanzo molto educativo”, dice la premier.  Per Musk invece si sa che uno dei suoi miti è Guida galattica per gli autostoppisti, di Douglas Adams, che narra di un uomo, Arthur Dent, che si salva dalla catastrofe planetaria imbarcandosi clandestinamente su un’astronave di passaggio, pochi secondi prima che la terra sia distrutta da una civiltà aliena intenta a costruire un’autostrada iperspaziale. Assieme a Ford Prefect, l’alieno che lo ha salvato all’ultimo momento, Dent esplora ogni remoto angolo della galassia, la quale è governata da un presidente bicefalo che “aveva fatto dell’insondabile un’arte”.

 

I cittadini della galassia vorrebbero conoscere la risposta alla “Domanda Fondamentale sulla Vita, l’Universo e Tutto Quanto”, e a tal fine costruiscono un supercomputer, Pensiero Profondo, che dopo sette milioni e mezzo di anni  - peggio di un tribunale ordinario italiano -   emette la sentenza: “Quarantadue”. Quando il popolo reagisce piuttosto sorpreso, il computer risponde: “Ho controllato con grande minuziosità e questa è la risposta veramente definitiva. Credo che, se devo essere franco, il problema stia nel fatto che voi non avete mai realmente saputo quale fosse la domanda”. Insomma siamo in zona  “la risposta è dentro di te, e però è sbagliata”, di Guzzanti-Coelho, mentre nella biografia di Meloni si fa pure metaletteratura. Perché Meloni parla molto dei libri di Meloni. “Ricordo il presidente dell’Uzbekistan Mirziyoyev, che per leggere il mio precedente  lo aveva fatto tradurre nella sua lingua e quando è venuto a Roma per il nostro bilaterale mi ha portato una copia rilegata di Io sono Giorgia in uzbeko”. Ecco, qui stiamo parlando chiaramente di due grandi personalità, ma alla traduzione uzbeka  forse neanche Musk avrebbe mai osato aspirare.    

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).