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Elly Schlein come Bossi, "fora de ball". Alle europee sogna Bersani e punta al "milione"

Carmelo Caruso

Invita i dissidenti a uscire dal partito, mette l'uno contro l'altro, attira i mugugni di Zingaretti e Letta, si sposta su Articolo 1. Dopo la Ligura altri possibili esodi dalla Toscana. Il Pd riformista confida in Gentiloni

Ha preso ripetizioni estive da  Bossi: fòra di ball’. Elly Schlein si ispira al modello Lega. Chi lascia il partito ha “sbagliato casa”, chi contesta la linea “non è titolato a parlare”. A Ravenna, alla festa dell’Unità (quale?) si è dimenticata di invitare Enzo Amendola, lo  “zio Pnrr”, ex ministro degli Affari Europei, sottosegretario di Draghi: pure lui è un migrante come quelli di Garrone nel film  “Io capitano”. Alle europee torna forte l’idea che Schlein si candidi capolista. Il sogno è che corra anche Bersani. Punta a un “milione di voti” per tutelarsi dalla corrente “17 per cento”, così la chiama, il vero mondo largo che la segretaria sputacchia. L’altro Pd prega  Paolo Gentiloni di liberarlo da questo esorciccio.


Ci sono un milione di ragioni che spingono la destra ad attaccare Paolo Gentiloni, il commissario “cordialmente, Paolo”. La destra si sta portando avanti. Un milione di voti è l’asticella che Schlein avrebbe fissato per salvarsi: “Con un milione di voti nessuno potrà cacciarmi”. E’ quello che dice. Gentiloni è l’ultima riserva, ancora una, che il Copasir del Pd, il Comitato per la sicurezza della Repubblica Pd (c’è n’è uno anche nel Partito democratico) ha individuato come sostituto della segretaria. Sarebbe l’equivalente di Letta con Zingaretti. A proposito, dopo Zingaretti, il Tiresia del Nazareno (“con questa, Schlein, non prendiamo neppure il 17 per cento” come ha svelato Il Foglio) pure Letta, un galantuomo, un uomo di altra pasta, pensa che con Schlein sia meglio emigrare in Nuova Caledonia. E’ così disilluso che maledice ancora Dario Franceschini e la notte in cui lo convinse a tornare in Italia per fare il segretario. Schlein non l’ha mai coinvolto. Nel Pd si stanno mobilitando le teste di cuoio, le unità speciali. Marco Meloni, il vice di Letta, al Senato, e Anna Ascani, alla Camera, stanno riorganizzando la corrente. Franceschini, carezze a Schlein a parte, ha chiesto al suo Alberto Losacco di lucidare lo spadino. Stessa cosa stanno facendo Orlando e Provenzano. Dems, la loro corrente, si riunirà, come ogni anno, a Rimini, a fine settembre o al massimo la prima settimana di ottobre. Stefano Bonaccini, la prossima settimana, prima della direzione del Pd, dovrebbe ufficializzare i suoi capigruppo ombra (Malpezzi al Senato e De Luca alla Camera). Raccontano che pure Francesco Rutelli, il superbonus dei centristi del Pd, sia tornato a ragionare di politica e a sponsorizzare la carta Gentiloni. In molti hanno dimenticato che prima delle elezioni europee ci sono le regionali in Abruzzo, Basilicata, Sardegna e Piemonte. Solitamente si è votato a marzo, vale a dire prima delle Europee. La destra si è sempre dichiarata a favore dell’accorpamento, regionali ed europee, ma potrebbe benissimo decidere di non farlo. Non c’è ancora una decisione. In tutte le regioni la destra parte in vantaggio. Nel Pd, dove la verità è sempre il rovescio, si dice ora “vediamo se Schlein alle Europee ci arriva”. Pure lei ha la gobba come Andreotti, il doppio fondo, la doppia chat. Dopo l’esodo ligure, ben 31 fuoriusciti, migrati da Carlo Calenda (ieri a Genova li ha presentati: “Il Pd non è più quello di Veltroni e Prodi”) gli esponenti della segreteria, e Bonaccini, avrebbero fatto notare che quelle uscite “sogno segni di malessere”. Nella chat ufficiale non è arrivata risposta. E’ silente. Dicono che di chat ce ne siano infatti due, una ufficiale e una ufficiosa, un po’ come fanno nei vostri uffici i direttori con i colleghi ganzi, quelli che ritengono la prima linea. Oltre la Liguria c’è un’altra regione osservata speciale, altro focolaio di possibili fuoriuscite. Si tratta della Toscana dove è in corso una bella contesa per chi debba candidarsi per il dopo Dario Nardella come sindaco di Firenze. Una è Monia Monni mentre l’altra è Simona Bonafè. Una, Monni, è tendenza Schlein, l’altra, Bonafè, non serve presentarla. E’ una riformista ed ex segretaria regionale. Al sud, lo sanno tutti, c’è Sandro Ruotolo che gira le sezioni, da mesi, e dice: “Mi candido alle europee”. Dopo che se ne va gli fanno le pernacchie. Dopo aver sporcato il nome di Lucia Annunziata, veniva dal Pd la voce dei lei capolista Pd, l’unico nome, al momento certo, è quello di Alfredo D’Attorre, candidato rosso, un altro ex Articolo 1. Una volta conosciuta questa sua intenzione i riformisti del Pd avrebbero chiesto: “Con tutto il rispetto, il trascinatore di voti dovrebbe essere D’Attorre? Le preferenze ce l’ha?”. Uno che in verità le preferenze le ha, c’è. E’ Bersani. E sarebbe la migliore trovata di Schlein. Ci lavora. Come lavora a mettere l’uno contro l’altro. In Liguria, fa scornare  Orlando e Benifei, già eurodeputato, capo delegazione, ora ragazzo pon pon della segretaria. In Emilia-Romagna, Taruffi, altro pon pon, fa il controcanto a Bonaccini. In Puglia ne sta facendo azzuffare tre: Boccia, Emiliano, Decaro. Questi ultimi due devono entrambi candidarsi causa limite mandati. Alla fine potrebbe spuntarla il solito Boccia. Eh, no. Non è stata una frase uscita male, quel suo “chi se ne va dal Pd aveva sbagliato a entrare”. Quando dal Pd è uscita Schlein, era il 2015, la stagione Renzi, e il partito raggiunse alle europee oltre il quaranta per cento. Oggi è lei a pensare che porti bene. Fòra de ball’. Finirà che Salvini darà asilo a Gianni Cuperlo.

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio