Giorgia e Arianna Meloni (Facebook/Ansa)

Corsi e ricorsi

Rispolverare la storia del Pci per capire perché i parenti in politica non sono uno scandalo

Sergio Soave

Rivedere il caso dei fratelli Enrico e Giovanni Berlingnuer. Non c’è ragione, oggi come allora, di escludere da responsabilità politiche qualcuno solo per vincoli di parentela. Arianna Meloni, sorella della premier, non fa differenza: contano le competenze

Le polemiche agostane sul ruolo di partito attribuito alla sorella di Giorgia Meloni spingono a ripensare alle “famiglie” politiche della prima repubblica. Uno dei casi più rilevanti riguarda i fratelli Enrico e Giovanni Berlinguer, che fin da giovanissimi ebbero incarichi di rilievo nel Pci e nelle organizzazioni internazionali cui il Pci aderiva. Tra il 1949 e il 1954 Giovanni fu prima segretario e poi presidente dell’internazionale studentesca di obbedienza sovietica, mentre Enrico, segretario della Federazione giovanile comunista italiana, presiedeva l’analoga internazionale giovanile. Questa precoce carriera spinse qualche anno dopo Giancarlo Pajetta a ironizzare su Berlinguer “che si è iscritto giovanissimo alla direzione del Pci”.

 

Non fece battute sarcastiche sulla questione della parallela ascesa del fratello Giovanni, probabilmente perché anche il fratello di Giancarlo Pajetta, Giuliano, era parlamentare del Pci, dalla costituente fino al 1972. La partecipazione di famiglie antifasciste alla lotta di Liberazione e poi alla battaglia politica successiva è stato un fenomeno del tutto normale e nessuno ha mai messo in discussione o attribuito a pratiche “familistiche” l’impegno contemporaneo di più membri della stessa famiglia. Giovanni Berlinguer, mentre il fratello assumeva un ruolo sempre più rilevante nella politica generale del partito, scelse di concentrarsi sulle sue competenze specifiche, in campo medico e scientifico. Docente nelle facoltà di medicina prima di Sassari e poi di Roma, diede alle stampe un libro, “La medicina è malata”, che non ha perso di attualità anche se fu pubblicato nel 1959. Dopo la tragica morte del fratello Enrico e lo scioglimento del Pci, Giovanni assunse un ruolo politico generale nei Democratici di sinistra e, al congresso del 2001, contese la segreteria a Piero Fassino, ottenendo poco più di un terzo dei consensi.

 

Un aspetto assai importante del suo impegno ha riguardato i temi della bioetica, che lo portò a presiedere fino al 2001 il comitato nazionale della bioetica in Italia e membro delle analoghe organizzazioni internazionali, fino ad essere relatore del primo progetto di Dichiarazione universale sulla bioetica dell’Unesco. Questi brevi tratti della sua carriera fanno intendere che si trattava di una personalità di tutto rispetto, non certo di un personaggio cresciuto all’ombra del fratello. Era anche spiritoso: ricordo che quando si aprì una polemica sulla guida del partito, mi disse che era contento che, almeno a lui, nessun giornalista avesse chiesto se era “berlingueriano”. Non c’è alcuna ragione, oggi come allora, di escludere da responsabilità politiche qualcuno solo perché è parente stretto di un, o di una, leader di una formazione politica (come può essere il caso di Arianna Meloni, sorella della premier, appena divenuta formalmente responsabile della segreteria politica del partito). Naturalmente poi deve dimostrare di avere le doti necessarie, sapendo che queste saranno esaminate con puntiglio proprio per il sospetto di una carriera agevolata dalla parentela. Giovanni Berlinguer, come Giuliano Pajetta e altri (tra i quali si potrebbe citare persino Sergio Mattarella) lo hanno dimostrato, il che non significa ovviamente che vaga per tutti e per tutte.

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