Il messaggio di Meloni a Zelensky sulla Crimea è un ravvedimento operoso. Ma non basta

Luciano Capone

La premier si scusa con l'Ucraina per gli errori dell'Occidente. Ma nel 2014 sulla Crimea la destra italiana non sottovalutava Putin: stava dalla sua parte. Meloni si è ricreduta, ma servirebbe una seria riflessione sugli anni del suo conservatorismo egemonizzato dal putinismo

“Nel 2014 in Occidente non si era compreso appieno la portata di quanto stava accadendo o, forse, si era sperato che potesse fermarsi lì la pulsione imperialista di Mosca. Abbiamo sbagliato, ed è doveroso riconoscerlo”. Nelle scuse a Volodymyr Zelensky e all’Ucraina, rispetto a quella che era stata la prima invasione russa, Giorgia Meloni dice abbastanza bene. Ma non dice tutto. Perché se le responsabilità occidentali nella sottovalutazione della minaccia putiniana all’Europa sono grandi, quelle della destra italiana lo sono ancora di più.

 

Nel videomessaggio, inviato in occasione del vertice internazionale della Piattaforma Crimea, la presidente del Consiglio ha pronunciato parole chiare su ciò che è accaduto negli ultimi anni: “L’annessione illegale della Crimea nel 2014 da parte della Russia è stata una chiara violazione del diritto internazionale e un assaggio delle intenzioni aggressive russe su tutta l’Ucraina”, ha detto Meloni descrivendo l’imposizione di un “modello autoritario” e la “violazione dei diritti delle popolazioni della penisola” da parte di Mosca. Concludendo, appunto, che nel 2014 l’occidente non ha capito “appieno” cosa stesse succedendo o, peggio, ha fatto finta di non capire. Da qui le scuse doverose e l’impegno a sostegno dell’Ucraina: “Oggi siamo al vostro fianco, senza esitazioni”.

 

Se la descrizione di Meloni è onesta per ciò che riguarda i governi occidentali in generale, è edulcorata per ciò che riguarda la sua parte politica. Perché nel 2014 non è che la destra italiana avesse sottovalutato l’imperialismo di Putin: stava proprio dalla sua parte. Tutto il centrodestra. Se oggi parla di “annessione illegale”, nel 2014 da leader di Fratelli d’Italia Meloni descriveva l’invasione russa come un’azione democratica: “In Crimea è previsto un referendum, io credo nell’autodeterminazione dei popoli”, diceva Meloni indicando nella consultazione illegale russa uno strumento legittimo per risolvere la controversia. Non solo. Meloni per anni ha attaccato ferocemente l’Europa per aver imposto delle lievissime sanzioni alla Russia, proprio in seguito all’annessione illegale della Crimea. E descriveva i governi italiani, che appoggiavano le sanzioni, come nemici della nazione asserviti ai voleri di Bruxelles e di Washington: “Obama annuncia nuove sanzioni alla Russia – diceva – il governo italiano non assecondi l’ultima idiozia del peggior presidente della storia americana”.

 

“A me non risulta che ci sia stata alcuna invasione della Crimea, in Crimea c’è stato un legittimo voto popolare dove si è chiesto di aderire alla Federazione russa – diceva Gennaro Sangiuliano, allora agiografo di Putin e ora ministro della Cultura –. Non vedo perché non si dovrebbe accettare la legittimità giuridica del referendum”. E infatti il centrodestra in Veneto, Lombardia e Liguria – cioè in tutti i Consigli regionali in cui all’epoca era maggioritario – ha approvato delle risoluzioni con cui ha riconosciuto “l’annessione russa della Crimea”. Quella stessa annessione che ora Meloni definisce “illegale”. Questa posizione ha accomunato tutti i partiti di centrodestra. Matteo Salvini, che è stato un fan sfegatato dell’autocrate russo (“cedo due Mattarella per mezzo Putin”), è andato in Crimea, ha riconosciuto l’annessione russa e ha incontrato anche le autorità locali filorusse. Silvio Berlusconi andò in Crimea a celebrare la conquista dell’amico Putin, che per l’occasione fece stappare una bottiglia di vino vecchia 240 anni.

 

Siamo ben oltre le sottovalutazioni delle leadership occidentali. Anche perché, per la destra italiana non si tratta semplicemente dell’errore di valutazione sullo specifico caso della Crimea. L’infatuazione per la Russia, e in particolare per Putin, è stato un fenomeno politico molto più ampio e coinvolgente. Putin è stato presentato a lungo come un argine contro il terrorismo islamico, proprio mentre radeva al suolo la Siria per sostenere Assad che usava le armi chimiche contro i civili. Putin ha rappresentato un modello di difesa dei valori “cristiani” e della famiglia tradizionale, si pensi solo all’entusiastica partecipazione di Meloni e Salvini al Congresso mondiale delle famiglie sponsorizzato da oligarchi russi vicini al Cremlino. Putin ha rappresentato l’alternativa “sovranista” all’Ue “globalista” e nemica dei popoli.

 

Insomma, la destra italiana dovrebbe dire qualcosa in più di generiche scuse con cui diluisce le proprie posizioni in quelle dell’occidente che ha condannato Mosca ma non abbastanza. Perché una ricostruzione del genere è più una mistificazione che una mezza verità. Il ripensamento di Giorgia Meloni rispetto alla Crimea e all’Ucraina, dopo l’invasione del febbraio 2022, è senz’altro sincero, e la premier lo sta dimostrando con le parole e le azioni politiche. E il messaggio a Zelensky non era forse l’occasione giusta per un’autocritica sulle posizioni della destra italiana. Ma ora che Meloni è al governo con l’obiettivo anche di costruire un’egemonia culturale della destra, sarebbe il caso di aprire una riflessione su come è stato possibile che il centrodestra italiano sia stato così a lungo culturalmente egemonizzato da Putin e dal putinismo.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali