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L'intervista

"La norma sugli extramargini è demenziale. Meloni sembra Conte". Parla Tria

Carmelo Caruso

"Costosa e dannosa, la norma che tassa le banche ci costa in reputazione e le perdite hanno già superato il possibile incasso". Intervista all'ex ministro dell'Economia del governo Conte I

Professore Tria, lei che è stato ministro dell’Economia nel Conte I, cosa pensa della norma Meloni che tassa gli extramargini delle banche? “Penso che sia sbagliata, dannosa, un brutto segnale. Aggiungo inutile. E’ una norma che poggia su un’idea demenziale”. Quale? “E’ demenziale dire che quel denaro sarà usato per le famiglie italiane”. Non lo sarà? “Dirlo è al momento solo retorica. Si tratta di un incasso per lo stato. Come verrà destinato è tutto da vedere. E’ un incasso e, tra l’altro, sembra essere risicato, lontano dalle attese, ma che ci è già costato,  in termine di reputazione, moltissimo. Anche la reputazione ha un costo”. La norma è stata annunciata in conferenza stampa da Matteo Salvini e difesa, ieri, da Meloni. Ha visto la conferenza stampa? “Si, l’ho vista. Ho ascoltato”. E’ in vacanza? “Lavoro riposando”. Dove? “In Ciociaria”. Quando ha sentito parlare di “banche da punire”, e letto, sui giornali,  di “banche che erano state avvisate”, cosa le è venuto in mente? “Il déjà-vu. Il ritorno al passato”. Intende il governo gialloverde, il (suo) primo esperimento populista? “Mi sembra che il primo a complimentarsi per la norma sia stato Giuseppe Conte. Fossi il governo mi farei qualche domanda”.

 

Tra gli argomenti avanzati dalla premier, citiamo: “Abbiamo tassato un margine ingiusto”. E, ancora (e questo lo dicono sempre esponenti di governo) “sono margini registrati dopo la stretta della Bce”. Professore, è una norma anti Bce? “E’ quanto tiene  a farci sapere la maggioranza. Mi sembra di capire che lo sia”. Le abbiamo suonate alle Bce e alle banche? “Premesso che alla Bce non si risponde, il miglior modo per invogliare la Bce a continuare la sua politica è  immaginare norme come quella di cui stiamo ragionando”. Non è giusto tassare le banche? “Sono le banche che acquistano i nostri titoli, sono le banche che garantiscono il nostro debito. Quale banca straniera ha motivo d’investire in un paese dove l’economia di mercato è messa in discussione?”. E’ in discussione? “Mi sembra che non ci sia  molto amore. E’ legittimo non amarla, per carità, ma fino quando se ne fa parte si rimane seduti a tavola”. La misura porterà due miliardi di euro? “Quell’ incasso lo abbiamo già bruciato”.


Professore Tria, almeno lei, questa norma sugli extramargini delle banche, che prevede “un tetto massimo per il contributo che non può superare lo 0,1 per cento dell’attivo”, e che introduce una tassazione del “40 per cento sulla differenza ingiusta del margine di interesse” (stiamo citando una frase di Meloni) l’ha compresa? “Da quanto ho capito, la sera dell’annuncio, la norma non era stata neppure scritta e, per fortuna, al Mef, che resta un presidio, hanno messo una pezza, precisato, e cambiato, la misura successivamente. La norma è già diversa da quella annunciata”. Sono extramargini sui mutui a tasso variabile. Scegliere un mutuo a tasso variabile non prevede un margine di rischio? Non è già una scommessa? “Mi sembra chiaro. Quando si chiede un mutuo si può scegliere il tasso fisso e quello variabile. Chi sceglie il tasso variabile a volte paga meno. Si carica di un rischio. Purtroppo, siamo uno strano paese”. Lo facciamo strano? “La pensiamo strana. Ricorda gli anni dei bond argentini?”. Non è stato un disastro? “Lo è stato. I risparmiatori acquistavano bond che promettevano guadagni fino all’otto per cento. Era passata l’idea che chi non li acquistava fosse un fesso. Tutti gli altri erano invece i furbi. Quando l’Argentina non riuscì a pagare quei bond si pretendeva che lo stato italiano coprisse le perdite. I fessi erano in realtà i furbi, ma i furbi, che si scoprirono fessi, volevano che gli italiani, prudenti, pagassero al loro posto”.

 

Lo vede? Non è sempre colpa delle banche? “Forse la colpa era stata non istruire a sufficienza i risparmiatori, non aver comunicato esattamente i rischi che correvano. C’è stato un tempo, pochi anni fa, in cui  ci si allarmava per la facilità con cui le banche concedevano mutui a tassi estremamente bassi, anche troppo”. Il giorno dopo l’annuncio della norma del governo Meloni la Borsa ha avuto un crollo. Quanto è già costata la misura? “Oltre la misura ci stanno costando le parole intorno alla misura”. Vale a dire? “Le parole, a vanvera, della maggioranza stanno provocando una perdita che va oltre i miliardi bruciati in Borsa. Per ragioni elettorali, i leader cedono, e si lasciano avvolgere dal cupio dissolvi”. La norma è  definita, con ironia, “norma Fratoianni”, ma l’ha pensata la destra che ne parla come  “una misura sociale”. Professore, ma la destra non era liberale? “La destra liberale è un oggetto sconosciuto così come la sinistra di mercato. A volte si crede che l’economia sia un gioco. Non lo è”.

 

Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, non si è presentato in conferenza stampa. Si fa così? “Avrei fatto come lui”. Ieri sul Corriere della Sera, l’economista  Francesco Giavazzi, consigliere economico del governo di Mario Draghi, ha spiegato che l’ assenza di Giorgetti, in “un’occasione come questa, dà un’immagine pessima del paese”. Pure lei non si sarebbe dunque presentato? “Molte volte, pure io, durante il governo Conte, preferivo non presentarmi”. Per quale ragione? “Perché un ministro dell’Economia non commenta schemi di legge, una misura che, come si è visto, si stava ancora scrivendo. Un leader può farlo, ma un ministro dell’Economia, non può farlo. Non mi preoccupano i ministri silenti, ma i leader che straparlano al posto dei loro ministri. Il più delle volte quelle conferenze sono parate”.

 

Nel governo Conte scelsero lei come oggi Meloni ha scelto Giorgetti. Delle due l’una: o siete i sobri in osteria o siete voi che avete sbagliato ristorante. Avete sbagliato ristorante? “Ma se in osteria non ci fossero uomini pazienti cosa accadrebbe a fine serata? Il Mef, anche questa volta, si è dimostrato rigoroso. Giorgetti terrà”. Come ha tenuto lei? “Ero paziente”. E che mestiere è? Non è meglio il sangue caldo o dimettersi? “Non è un mestiere. E’ una qualità. Bisogna vedere chi prevale alla lunga”. Sempre i conti! “Appunto. Che si fanno alla fine”.

 

  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio