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il commento

De Angelis è “negazionista”, ma nel paese dei complotti tutti mettono in dubbio tutto

Salvatore Merlo

In Italia la verità giudiziaria diverge da quella storica: di uno stesso fatto esistono varie verità storiche e persino giudiziarie. Non c’è niente di più arci-italiano della ricerca dell’oltre verità

Secondo il compianto Andrea Purgatori a Ustica ci furono un missile e una battaglia nel cielo, secondo altri ci fu una bomba, ma secondo il tribunale – la verità giudiziaria – non fu né l’una nell’altra: autori ignoti e non luogo a procedere. Siete proprio sicuri che De Gasperi non fosse un agente della Cia, pronto a segnalare dove bombardare in Italia, che D’Alema non fosse un agente del Kgb e Vittorio Emanuele, infine, più che del Re, fosse un figlio dello stalliere? Non c’è fatto più o meno tragico, o memorabile, della storia italiana del quale noi stessi italiani non ci siamo impegnati a svelare gli occulti meccanismi, le presunte complicità, gli abietti retroscena. Monumentali relazioni, centinaia di saggi, film, sceneggiati, trasmissioni televisive, processi, ciclopiche ricostruzioni, stordenti conclusioni, commissioni d’inchiesta, centinaia di giornalisti, magistrati, politici e twittaroli vari che quotidianamente da decenni passano al Vetril ogni mistero e ogni scandalo di questo paese, ogni fatto solo apparentemente chiaro della storia patria e della cronaca, partendo, diciamo, dalle origini massoniche del Risorgimento per arrivare ai veri e inafferrabili mandanti delle stragi di mafia. In queste ore a Firenze, per dire, indagano sul fatto che Silvio Berlusconi avesse tentato di far uccidere Maurizio Costanzo. Complotto.

Lo stesso che Berlusconi riteneva fosse stato ordito contro di lui da Angela Merkel nel 2011. Pure Giuseppe Conte è convinto che il suo governo sia caduto per una macchinazione, pensate un po’, di Mario Draghi. Non c’è sentenza definitiva, compresa quella su Olindo e Rosa Bazzi, che non sia messa in discussione da qualcuno che proclama l’innocenza di due condannati in Cassazione. C’è sempre chi sa “ma non ho le prove”. Non c’è poliziotto che non abbia scritto un memoriale alternativo, o un romanzo, sul grande caso di cronaca che ovviamente non ha risolto sul campo ma ha sciolto in un racconto letterario. Il mostro di Firenze aveva dei mandanti? E’ stato Giovanni Paolo II a far scomparire Emanuela Orlandi?

Insomma non c’è niente di più arci-italiano della ricerca dell’oltre verità. E l’Italia è in tutta evidenza una Repubblica fondata sull’ipotesi di complotto. Il nostro è forse l’unico paese al mondo in cui i fatti che sembravano per una volta certi, risultano invece continuamente ancora meglio smentibili, revocabili, tanto da suscitare altri ingarbugliamenti, più fiere sospettosità, vaste nubi di nuovo gas. Qui da noi non soltanto la verità giudiziaria diverge da quella storica, ma di un medesimo fatto esistono innumerevoli verità storiche e persino giudiziarie. Ancora oggi s’indaga e si ripropongono tesi “definitive” sul rapimento e l’assassinio di Aldo Moro del 1978. Una fiera di audizioni, rivelazioni, botti e pernacchie. Ecco. E in un paese siffatto, nell’Italia in cui tutto è messo in dubbio da tutti, ecco che invece di riconoscere in lui un confratello di complotto, un cammelliere della medesima carovana, Marcello De Angelis viene accusato di essere un “negazionista nero” perché pensa che Mambro e Fioravanti siano innocenti a dispetto delle sentenze. Ma da che pulpito, scusate?

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.