crisi climatica

L'ecoansia contagia anche il Quirinale: l'appello di Mattarella sull'“ebollizione globale”

Claudio Cerasa

La difesa dell’ambiente depurata da ecorealismo ed eco ottimismo rischia di alimentare il senso di colpa. Il presidente della Repubblica mette in guardia dai cambiamenti climatici. Buone intenzioni ma con un guaio: molto panico e poca ecofiducia nel futuro

Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha firmato ieri un accorato appello per il Mediterraneo, insieme con altri cinque capi di stato: il croato Zoran Milanovicć, la greca Katerina Sakellaropoulou, il maltese George Vella, il portoghese Marcelo Rebelo de Sousa, la slovena Nataša Pirc Musar. Le intenzioni che hanno spinto il presidente a sottoscrivere il testo sono nobili e sono legate alla volontà di lanciare un segnale di attenzione rivolto ai temi ambientali. A una prima lettura, il testo firmato può apparire innocuo: “I capi di stato dei seguenti paesi del Mediterraneo – si legge – si impegnano a sostenere pienamente le iniziative di azione congiunta e fanno appello all’Unione europea, agli altri paesi del Mediterraneo e alla comunità internazionale affinché mantengano questo tema in cima alla loro agenda politica”. A una seconda lettura, più smaliziata, si noterà qualcosa nel testo che stona profondamente con lo spirito ottimistico che in questi anni al Quirinale Mattarella è riuscito a trasferire sulla sua figura. Basta scorgere alcune righe per capire di cosa stiamo parlando.

Mattarella, con i suoi omologhi, parla di “stato di emergenza”. Parla di “ebollizione globale”. Parla di “dimensioni esplosive” del fenomeno. Si parla di “rischio immediato” per i cittadini del Mediterraneo. Parla di fenomeni che “stanno minacciando la nostra vita quotidiana”. E invita a non “scendere a compromessi per ragioni politiche o economiche”. “E’ dovere di tutti noi – si legge ancora – sensibilizzare l’opinione pubblica, educare e ispirare in tutti l’etica della responsabilità ambientale: non solo per il presente, ma anche per il futuro dei nostri figli e delle generazioni che verranno”. L’idea di voler scommettere sulla responsabilità ambientale è nobile e merita di essere sostenuta. Ma la chiave di lettura scelta dal capo dello stato per affrontare il tema è deficitaria per almeno due ragioni e rischia di produrre un effetto contrario rispetto alle intenzioni del capo dello stato: educare e ispirare in tutti l’etica della responsabilità ambientale. Gli effetti perversi generati dalla retorica della fine del mondo applicata ai temi ambientali sono stati  illuminati all’inizio della settimana da Jim Skea, il nuovo capo del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (Ipcc), che ha giustamente notato quanto segue: “Se si comunica continuamente il messaggio che siamo tutti destinati all’estinzione, questa cosa paralizzerà le persone e impedirà loro di prendere le misure necessarie per affrontare il cambiamento climatico: il mondo non finirà se si riscalderà di più di 1,5 gradi”.

Il suggerimento di Skea è lì a ricordarci che ogni campagna a difesa dell’ambiente infarcita di catastrofismo e depurata da eco ottimismo e da ecorealismo rischia inevitabilmente di trasformarsi in una campagna finalizzata a promuovere l’ecoansia. L’ecoansia paralizza, immobilizza, trasferisce sul cittadino un senso di impotenza, di impossibilità di essere padroni del nostro destino e impedisce di ragionare su un’ansia diversa che andrebbe alimentata: la necessità, questa sì urgente, di rimboccarsi le maniche, di investire sull’innovazione, di promuovere la neutralità energetica, di scommettere sulla capacità di adattamento dell’uomo e di ricordare che la condizione essenziale per decarbonizzare il prima possibile è la crescita economica, perché la crescita produce innovazione e l’innovazione produce tecnologia, e più che interrogarsi su come salvarsi dalla fine del mondo occorrerebbe interrogarsi su cosa dovrebbe fare un paese interessato alla difesa dell’ambiente per avere, come ricorda spesso Carlo Stagnaro sulle nostre pagine, una crescita sostenibile, non un nichilismo insostenibile.

Il catastrofismo è un virus pericoloso, almeno quanto il negazionismo, perché non solo trasmette allarmi ma perché tende a ignorare i passi da gigante mossi dai paesi responsabili, come l’Italia, rispetto al tema della difesa dell’ambiente. E sensibilizzare le nuove generazioni sul clima senza ricordare, per esempio, come ha fatto recentemente questo giornale, che in Italia, tra il 2008 e il 2021, è stata registrata una riduzione del 28,7 per cento di emissioni di gas serra, che l’apporto offerto dall’Italia alla produzione di gas serra globali è pari all’1 per cento, che il nostro paese ha un tasso di riutilizzo del materiale riciclato pari al 21,6 per cento contro una media del 12,8 per cento dell’Europa, che l’Unione europea, che rappresenta circa il 19 per cento del pil mondiale, produce l’8 per cento dei gas serra globali, rischia di trasferire ai cittadini un senso di colpa deprimente e immobilizzante. Per disinnescare gli effetti perversi dell’ecoansia l’eco ottimismo è necessario, a condizione ovviamente che dirsi eco ottimisti non porti a ignorare i problemi da risolvere.

Ma, a proposito di compromessi, accanto all’eco ottimismo anche l’ecorealismo risulterebbe quanto mai necessario oggi per evitare che le politiche a favore dell’ambiente possano essere guidate più dall’ideologia che dal pragmatismo. E ideologia, ovviamente, significa anche puntare esclusivamente su una tecnologia unica nella definizione di un comparto economico volto alla transizione ignorando i contributi decisivi che possono dare la ricerca, l’innovazione e il mercato nel creare il giusto mix fra le tecnologie e nell’offrire a ciascun paese i giusti strumenti per difendere l’ambiente senza aggredire le radici del nostro benessere. “Sui temi dell’ambiente – ha suggerito su questo giornale tempo fa Francesco Rutelli, intervistato da Luciano Capone – l’opinione va guidata: si deve formare in base a strategie e alternative. Il compito della politica è questo: la narrativa colpevolizzante sul mondo che va a rotoli si traduce in una raffica di prescrizioni anziché di policy e strategie affascinanti e concrete e in grado di mobilitare le persone per i benefici per la loro vita”. Meno ecoansia, più eco ottimismo, più ecorealismo, più ecofiducia nel futuro. Il prossimo magnifico appello in difesa dell’ambiente, caro presidente, forse potrebbe partire anche da qui.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.