l'editoriale del direttore

Il processo a Trump è un test sul complottismo dei suoi follower (vale anche per Meloni)

Claudio Cerasa

L'incriminazione dell'ex presidente americano per l'assalto a Capitol Hill del 6 gennaio può insegnare molto ai suoi vecchi seguaci e ai sovranisti. Tutte le frontiere del cospirazionismo da rimuovere. Una questione che riguarda pure la premier e il suo governo

Tutto è collegato. Niente succede per caso. Le cose non sono quello che sembrano essere. La parola che compare con più frequenza nelle quarantacinque pagine introduttive scritte dal giurì che ha incriminato Donald Trump per una serie di presunti crimini commessi nel tentativo di ribaltare i risultati delle elezioni del 2020 è una ed è una parola che risuonerà con una certa familiarità alle orecchie dei sovranisti di mezzo mondo: “Conspiracy”. La parola “conspiracy”, lo sapete, si traduce solitamente con “cospirazione”. La cospirazione solitamente sfocia in complottismo. Il complottismo tendenzialmente fa rima con sovranismo.

Il tempo ci dirà se le manifeste azioni eversive messe in campo da Trump contengono elementi rilevanti dal punto di vista giudiziario (difficile). Ma la rilettura dei fatti di quei giorni ci offre comunque un pretesto utile per ragionare attorno a un tema delicato: dopo i fatti del 6 gennaio del 2021, quanto pesa il complottismo nell’agenda dei vecchi follower del trumpismo? La risposta è purtroppo desolante: molto. Prendiamo il caso italiano. Tra i principali follower del trumpismo mondiale, Giorgia Meloni è certamente quella che in questi anni ha fatto più strada. Durante la sua esperienza di governo, non si può dire che la presidente del Consiglio si sia mossa da cheerleader del trumpismo (sull’Ucraina, Meloni ha seguìto un’agenda opposta). Ma nonostante questo, il complottismo resta ancora oggi uno dei veri punti deboli del carattere meloniano. E rappresenta la vera cinghia di trasmissione tra il sovranismo di lotta e quello di governo.

Prendete le affermazioni di ieri di Meloni e Piantedosi, per esempio, che mossi dalla convinzione che dietro la strage della stazione di Bologna vi sia ancora qualcosa di misterioso da verificare, in occasione dell’anniversario, si sono rifiutati di aggiungere accanto alle parole “terrorismo” e “violenza” la matrice  “neofascista” di quell’attentato. Prendete poi le frasi del ministro Adolfo Urso contro le multinazionali brutte e cattive, “che vogliamo contrastare”. Prendete le frasi del ministro Francesco Lollobrigida sulla necessità di “non arrendersi alla sostituzione etnica”. Prendete le frasi pronunciate da diversi esponenti del governo contro il “complotto della magistratura”. Prendete le frasi del sottosegretario Giovanbattista Fazzolari contro Bankitalia, ostile al governo in quanto “partecipata da banche private”.

Prendete le parole usate da molti ministri contro la Bce, ministri critici con la Bce quando alza i tassi per combattere l’inflazione ma pronti a rivendicare come grandi successi chissà di chi i miglioramenti registrati sull’inflazione. Prendete le posizioni assunte dalla maggioranza sulla commissione Covid, istituita per denunciare gli orrori della “dittatura sanitaria”. Il filo conduttore è sempre lo stesso. Tutto è collegato. Niente succede per caso. Le cose non sono quello che sembrano essere. La verità non è quella che avete di fronte a voi ma è quella che non vogliono farvi vedere. A livelli estremi, il complottismo porta a negare un risultato elettorale e ad alimentare la rivolta dei complottisti. A livelli meno estremi, il complottismo porta a creare alibi, a cercare capri espiatori. E quando un politico si muove in questo modo, giocando con il complottismo e disegnando nell’aria nemici invisibili, quel politico nel migliore dei casi fugge dalla realtà e nel peggiore dei casi fugge dalla ragione.

Per i follower del trumpismo, il 6 gennaio del 2021 è come uno specchio spietato che riflette le proprie ossessioni tossiche. Fuggire dal proprio immaginario cospirazionista, dal proprio universo paranoico, è l’unico modo possibile per non strizzare l’occhio all’estremismo e far fare un salto di qualità alla propria classe dirigente. Se sei complottista non avrai mai la forza di fidarti di chi non proviene dalla tua storia, e per cominciare a fare un salto doveroso, passando rapidamente e finalmente dall’agenda della fuffa a quella della realtà.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.