Passeggeri rimasti a terra a causa dell'incendio nell'aeroporto di Catania il 17 luglio 2023 (foto Ansa/Orietta Scardino) 

La crisi degli aeroporti siciliani sfocia in una crisi fra Schifani e Urso

Paolo Mandarà

Lo scalo di Catania chiuso, causa incendio, pesa sul sistema aeroportuale dell'isola. E nessuno sa quando tornerà operativo. Il Mimit critica la gestione e i tempi dell’emergenza. Ma la disputa passa dal piano operativo al cortile politico

A Natale in Sicilia credevano di non poter volare per il caro prezzi imposto dalle compagnie: una follia che ha chiamato a raccolta le migliori forza della politica, di destra e di sinistra, e l’Antitrust. Con risultati modesti. Nel giro di qualche mese, però, l’isola è diventata una terra lontanissima, e siciliani e turisti rischiano davvero di rimanere a piedi. Anzi, i tantissimi in partenza dall’aeroporto di Catania, così come quelli in arrivo, stanno sperimentando il disagio di dover rinunciare a un aeroporto che conta dieci milioni di passeggeri l’anno e che però, causa incendio, da una settimana ha smesso di operare. Decine di cancellazioni, centinaia di dirottamenti e 40 milioni al giorno di mancati introiti (dato Assoesercenti): sono questi i numeri di una crisi plateale che il ministro Salvini ha scelto di affrontare convocando attorno a un tavolo le parti interessate (ma dichiarando altresì che le competenze non appartengono al Mit).

   

Il primo ministro ad aver messo in discussione la gestione e i tempi dell’emergenza, da parte della società di gestione dell’aeroporto, è stato quello delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso. Non lo avesse mai fatto. All’accusa di una “mancata programmazione” e di verifiche “carenti sui programmi infrastrutturali, annunciati e mai realizzati”, ha replicato a muso durissimo il governatore Renato Schifani. E così la disputa è passata dal piano operativo – mobilità e danni alle imprese – al cortile politico: “Urso preferisce alimentare sterili polemiche” e “interviene in modo scomposto, più a tutela di vicende localiste che nell’interesse dell’intero popolo siciliano”. La nota più dolente, secondo il Ministro, è che “ancora non è chiaro quando ritorneremo alla cosiddetta normalità”, mentre per Schifani – almeno a parole – è “il ritrovo della sinergia istituzionale tra tutti i rappresentanti del governo Meloni e quello della Regione”.

    

L’aeroporto è passato in secondo piano rispetto alla disputa, appassionante solo per gli addetti ai lavori, tra Forza Italia e Fratelli d’Italia. Ma a Catania nessuno sa ancora quando lo scalo tornerà pienamente operativo. Stanno allestendo alcune tensostrutture presso il piccolo Terminal C, per garantire un numero maggiore di rotazioni (al momento partono e arrivano quattro voli al giorno), mentre l’area compromessa dall’incendio, parzialmente sequestrata dalla procura, è stata resa accessibile per le operazioni di bonifica. Le cronache di volo di questi giorni, oltre al naturale smarrimento dei passeggeri, mettono in evidenza le forti criticità del sistema aeroportuale siciliano: gli scali cui vengono richiesti i sacrifici maggiori sono Trapani (passato a gestire da 25 a 100 voli al giorno) e Comiso, che fino a una decina di giorni vedeva schierare sulla pista un paio di velivoli. Ora i gestori – gli stessi di Catania – hanno dovuto aprire pure il piano superiore dell’aeroporto per concedere agli ospiti in perpetua attesa di poter bivaccare con qualche comfort in più.

   

A Palermo, invece, è successa una cosa strana: cioè che la governance dell’aeroporto decidesse – motu proprio – di non accogliere voli destinati a Catania per tutto il weekend scorso. Avrebbero inficiato l’operatività dello scalo e i servizi ai passeggeri. Anche questo provvedimento ha mandato su tutte le furie Schifani: l’amministratore delegato di Gesap ed ex presidente dell’Enac, Vito Riggio, è stato a un passo dalle dimissioni. A mettere ulteriore legna sul fuoco è stato l’etneo Nello Musumeci, oggi Ministro della Protezione Civile, che ha consigliato a Schifani di accorpare la sei società di gestione dei sei scali siciliani (compresi Lampedusa e Pantelleria, che ne hanno una propria): “Va bene il campanilismo, ma fino a un certo punto…”.

 

Come avviene di fronte a ogni emergenza, la Sicilia si divide e si presenta priva di anticorpi. Coloro che hanno dovuto raggiungere Trapani da Catania per prendere un nuovo volo, passando per l’autostrada A19, si sono ritrovati di fronte a trenta deviazioni e quasi tre ore di percorrenza, sotto un caldo asfissiante. Molti snodi ferroviari sono interrotti perché oggetto di lavori per l’elettrificazione, del trasporto su gomma neanche a parlarne: è costoso e problematico. Eppure i turisti arrivano. Ma torneranno? E’ questa la vera domanda che potrebbe impegnare la politica e distoglierla dai litigi.