Il ritratto

Sangiuliano, il Brancaleone vien da Napoli

Carmelo Caruso

Si è costruito il monumento ai suoi libri. Epopea,  imprese e miracoli dell'onnipotente e onnipresente ministro della Cultura. Dalla ruota del pavone ai suoi inni per Fini, Berlusconi, Salvini e Meloni

Voleva somigliare a Benedetto Croce, ma si è convinto che Benedetto Croce somigli a lui. Da quando è ministro del governo Meloni, si presenta così: “Gennaro Sangiuliano, ministro della Cultura come Giovanni Spadolini e Alberto Ronchey”. Subito dopo: “Già direttore, scrittore, giornalista, docente universitario. Grazie”. Il peggio che vi possa accadere nella vita, in estate, è leggere il ritratto di Sangiuliano, a firma di Sangiuliano, che i direttori dei quotidiani “devono pubblicare” per evitare le telefonate di Sangiuliano. Quando un giornalista gli chiede un’intervista la sua risposta è: “Io non rilascio interviste, ma scrivo editoriali, il cui posto è in prima pagina. Un palchetto, grazie”. Le ultime scivolate, il ministro direbbe incomprensioni, non restituiscono pienamente l’originalità, la complessità del “federale” di Soccavo, il Brancaleone vien da Napoli, con l’occhiale stringinaso, il pince-nez e la fotografia di Giuseppe Prezzolini dentro al portafogli. Se gli capitate a tiro vi lancia gavettoni di Croce-Soffici-Papini-Marinetti-Longanesi. Plaf! Clinicamente siete spacciati. C’è una frase che annuncia l’apertura delle ostilità: “Come dice …”. Ogni volta che il cronista con la penna si imbatte in Sangiuliano, armato di microfono, il cronista soffoca. E’ il gas Sangiuliano, solfuro nebuloso, molecole sprigionate dal suo spazzolone acchiappa polvere. E’ polvere da biblioteca, polvere della Sangiuliano Library. Lo chiamano Genny, all’americana, perché ha scritto una biografia su Reagan, oltre ad aver fatto lo “spallone” del conservatorismo, lo ha dichiarato sul Corriere (“in Italia, il conservatorismo di Bush l’ho importato io”) e dato alle stampe la fondamentale biografia su Trump (altra dichiarazione) “a cui un giorno consegneranno il Premio Nobel”. Le profezie di Sangiulianus. Per gli amici è affettuosamente “Genny ‘o miracol(ato)”, “Genny cinque partiti”, “Genny ‘a Croce”, “Genny’ ‘o pavone”, mentre per gli ex colleghi, i cronisti che hanno lavorato con lui all’Opinione del Mezzogiorno (giornale liberale) Il Roma, L’Indipendente, Libero, e poi in Rai, è solo “l’intellettuale che ha scritto più libri di quanti ne ha potuti leggere”. Se gli chiedete quanti libri possiede è come chiedere a un bambino di dieci anni: “La vuoi una bicicletta nuova?”. Mai farlo.


Afferma di possedere quindicimila volumi e ne ha scritti diciotto, come diciotto sono i premi che ha ricevuto, e sono solo esercizi per arrivare al capolavoro che ha in cantiere: “Sangiuliano, una vita”, edito dalla Sangiuliano editore, distribuito in tutti i musei italiani, dove un giorno non ci potrà che essere una fotografia di Sangiuliano all’ingresso. Lavora per questo. Nel bene e nel male è giusto che ci sia. In pochi mesi, da ministro della Cultura, ha demolito la critica dantesca con la frase: “Dante è di destra”. Ha mandato in cortocircuito gli economisti affermando, prima, che i musei devono essere a pagamento, dopo, che è necessario aggiungere altre tre giornate di musei gratis. Ai francesi ha chiesto di restituire sette opere e si attende anche la Gioconda che appenderà, personalmente, a Palazzo Chigi, nello studio di Giovanbattista Fazzolari, sottosegretario che non ama la Francia. Su Twitter, sul profilo, ha postato una intervista al Corriere di Bologna, e, sotto, si è auto-complimentato: Sangiuliano piace a Sangiuliano. La sua idea, “voglio in Rai una fiction su Fallaci”, era così buona che era già venuta a qualcun altro. Infaticabile. Si è inventato anche il treno veloce Roma-Pompei che partiva però una volta al mese. Per pubblicizzare l’iniziativa ha fatto salire in carrozza la premier, rinchiuso i giornalisti nel vagone “banditi”. I giornalisti come i lazzari. Stava per scoppiare un’insurrezione. Il caldo ha fatto il resto. La festa per poco non è degenerata in una corsa al Pronto Soccorso. Dopo queste scene, che hanno fatto il giro del mondo, nessun turista al mondo salirebbe su quel treno: “Aiuto!”. La buona notizia è un’altra: il treno, anziché partire una volta al mese, dopo questo Quarantotto, partirà una volta a settimana, perché, come spiegherebbe il ministro Sangiuliano, “questa è un’iniziativa di sistema”. Il problema, nel caso di Sangiuliano, è l’iniziativa. Per dimostrare che Borges, rispetto al ministro, era solo un magazziniere di Buenos Aires, ha dichiarato, in diretta, nel corso della finale del Premio Strega, che “ho ascoltato le storie espresse nei libri finalisti e sono tutte storie che ti prendono e che ti fanno riflettere. Proverò a leggerli”. Quando Geppy Cucciari, che conduceva l’evento, ha chiesto: “Ah, dunque non li ha letti?”, da ministro, Sangiuliano, ha proseguito: “Sì, li ho letti, perché ho votato, ma voglio, come dire, approfondire”.

 

Da secoli i giurati dei premi letterari votano libri che non hanno mai aperto, parlano di autori che disconoscono, ma solo Sangiuliano deve ricordare agli italiani che Sangiuliano non è il ministro della Cultura, ma la Chat Gpt della cultura: “So tutto”. Ingurgita libri come pasticche e misura la cultura a chilogrammi. Per Sangiuliano acquistare la Biblioteca delle Pléiade equivale a essere Camus. Manca di ironia, la famosa sostanza che, per il ministro, è la forza del conservatore, la patente che esibisce a ogni conferenza: “Io sono un conservatore”. L’ironia la accetta quando a praticarla è lui, ma quando la subisce vi manda la polizia regia e gli avvocati: “Un milione di euro di risarcimento”. Ultimamente gli è stata bocciata una nomina da parte della Corte dei Conti, ma se lo scrivete, attenti. Vuole un milione di euro che possono diventare due dopo questo articolo. Sono tre milioni se scrivete  che ha nominato il professore Salvatore Sica come presidente del Comitato Consultivo per il diritto d’autore e che  Sica è anche suo consigliere al ministero. A questo punto i milioni di euro sono già cinque.


Maurizio Crozza ha trovato in Sangiuliano un’altra maschera italiana. Come spiegherebbe Sangiuliano questo non è altro che il risultato di una “cultura egemonizzata” e di un “giornalismo obnubilato” dal pensiero unico. Malgrado sia ministro, vuole impaginare ancora i giornali come a Il Roma, il giornale di destra dell’inarrivabile Pinuccio Tatarella, che Sangiuliano ha diretto tra il 1996 e il 2001. Lo aveva scambiato per il Washington Post. Il Roma aveva due dorsi, un dorso locale e uno nazionale. Sangiuliano apriva il giornale sul Medioriente perché voleva darsi un tono, ma il giornale si vendeva a Napoli e dunque i redattori perplessi chiedevano: “Diretto’ ma apriamo co ‘o Medioriente? Non vennemo ‘na copia”. Da giornalista ha amato i giornali che, altra intervista, “lo stato ha il dovere di sostenere. Come dico ai miei studenti (è professore di Storia dell’Economia alla Luiss Guido Carli) e dunque il mio consiglio è comprate ogni mattina un giornale e leggetelo bene”. Ora che i giornali non li scrive, i giornali li maltratta. Dice che “i giornali sono già vecchi al mattino”, tranne se ospitano un suo fondo. Per giustificare questo suo giudizio si arrampica su Heidegger, Omero, la Scuola di Francoforte. Dalla Francia in su è tutto esotico e si può citare senza essere smentiti, tanto chi ha il tempo di andarsi a riprendere le opere di Heidegger custodite nella Sangiuliano Library? Le sue locuzioni sono appunto “Ricordo”; “Come dice …”. A volte, ricorda male. Sangiuliano è il ministro “a memoria” e, infatti, da piccolo, a sette anni, ha raccontato al Mattino, “mi regalarono un libro sul Risorgimento e lo imparai quasi a memoria”. A memoria ricicla sempre lo stesso discorso sul Futurismo e su Croce che è il suo stuzzicadenti. Indossa abiti di sartoria, scarpe cucite a mano, cravatte impeccabili, poi però inforca gli occhiali da sole, tutti neri, e pure i bambini si chiedono: “Mamma, mamma, ma chi è?”. Un fotografo: “A me ricorda Totò, quello de La Patente”. Un altro: “Sembra il monaceddhu”.

 

Essendo un conservatore non potrà che comprendere l’ironia di questo passaggio. Essendo nato a Napoli, nel 1962, dove la scaramanzia è un impasto con la fede, non potrà che perdonare. E’ cattolico. Possiede una collezione di statuette di San Gennaro. La madre Adele è di origine molisana, di Agnone, il paese delle campane, e della Fonderia Marinelli. Da ministro, Sangiuliano è andato, naturalmente, ad Agnone, il 10 dicembre 2022, garantendo che il Molise “entrerà nel grande circuito turistico nazionale”. Appena si è insediato al ministero ha messo le cose in chiaro con i commessi: “Ho venduto più libri io che Dario Franceschini”. E’ l’ex ministro della Cultura, del Pd, a cui ogni mattina Sangiuliano fa i conti: “Anche oggi, secondo le classifiche, ho venduto più libri di Franceschini. Cominciamo”. Ha chiamato come suo segretario generale Mario Turetta che però, cronache dal ministero, vorrebbe già scappare via, come è già scappata via Marina Nalesso, portavoce ed ex giornalista del Tg2 che è tornata al Tg2 con i suoi rosarioni al collo. Sangiuliano tende alla “denastasizzazione”, un processo di allontanamento di tutti i dirigenti del Mic, che ritiene vicini all’ex capo di gabinetto Salvo Nastasi, la sua malabestia, lo spirito che, secondo Sangiuliano, si aggira ancora in quelle stanze: “Dov’è? Io so che c’è? Lo sentite?”. Per stare il meno possibile in questo ministero, abitato da diavoli, Sangiuliano torna alle origini, a casa, a Napoli. Quasi tutte le sue missioni hanno come luogo d’arrivo la Campania, e ultimamente erano così numerose che al ministero, un giorno, si sono accorti di aver esaurito il budget per le uscite. Il treno Sangiuliano express, quello, sì, che parte ogni giorno e percorre la tratta Roma-Napoli, sua città, suo riferimento dove sogna di candidarsi presidente della regione se non fosse che il viceministro Edmondo Cirielli ha già prenotato quella casella. Si dice che,  alla fine, si presenterà alle Europee per FdI come vuole Meloni, e anche sua moglie, la giornalista Rai, Federica Corsini. Sangiuliano è  al suo secondo matrimonio. La sua prima moglie è di San Severino Marche, paese caro a Vittorio Sgarbi, il sottosegretario alla Cultura, già richiamato all’ordine dal ministro dopo la serata Maxxi, in tutti i sensi, al museo di Roma: “Il ministro prende le distanze da Sgarbi”. Turpiloquio, sgarbismi, e lui, Sangiuliano, si è perfino indignato, “non va bene”, come se non fossero tutti compagni di banco.

 

Nello stesso edificio ci stanno Sangiuliano, Sgarbi, il cantautore Morgan, il sottosegretario Mazzi, sparring partner di Giletti, e prima ancora c’era Francesco Giubilei, come consigliere del ministro. Ma consigliere è pure la bacchetta musicale, Beatrice Venezi. Stanno a Sangiuliano come la coda sta al pavone. Il Moulin Rouge è un convento se equiparato a questo ministero. Se organizzano eventi è sold out. Tutti gli spostati d’Italia chiederebbero l’iscrizione al club. La prima tessera, di partito, Sangiuliano l’ha presa a Soccavo, presso la sezione dell’Msi. Con la famiglia si sposta poi al Vomero, l’Arenella, scuola a salita Stella, dietro via Foria. Ha un fratello, Massimo, di cui non parla, al contrario di come fa del cugino Riccardo Sangiuliano, il Gigi Rizzi dei nostri anni, secondo Genny. Rizzi è l’italiano che aveva avuto un flirt con Brigitte Bardot, ma Riccardo è stato marito di Nathalie Caldonazzo, ha baciato Emma Winter, ex moglie di Andrea Agnelli, e oggi viene paparazzato con l’attrice Claudia Gerini. “Mio cugino Riccardo” vale un capitolo di “Sangiuliano, una vita”. Per anni, agli intimi, Genny raccontava, orgoglioso, le ultime avventure di mio “cugino Riccardo”, il Sangiuliano al rovescio. Giornalista è Genny, mentre manager, nei fondi d’investimento, è Riccardo. Il fratello Massimo è nell’ombra. Genny e Massimo.


Li cresce entrambi, da sola, mamma Adele, sarta, governante a casa del senatore dell’Msi, Francesco Pontone. Sangiuliano perde il padre da bambino. Frequenta il liceo Pansini, succursale del Sannazzaro, va a scuola con Antonio Martusciello, l’uomo forte di Forza Italia in Campania. Genny voleva fare il notaio, ma anche il medico, infine ha scelto la professione di giornalista, ma avrebbe potuto fare il filosofo, dato che già da scolaro aveva preso il posto della professoressa: “Mi faceva spiegare la lezione al posto suo”. Il mestiere da giornalista lo ha appreso nientemeno che da Raffaele La Capria, così garantisce. E qui c’è da restare Ferito a Morte, come nel celebre libro di La Capria. Questa è la versione ufficiale di Sangiuliano. Ora l’altra.
Milita nel Fuan, diventa segretario della giovanile a Napoli. Si accorge presto che l’Msi è troppo piccino per i suoi sogni. Passa con i liberali. Si avvicina all’ex ministro della Sanità, Francesco De Lorenzo, e va a lavorare in quota liberale a Canale 8, piccola emittente locale dei vicerè napoletani. Quando De Lorenzo viene travolto dalle indagini, processi, tangenti, Sangiuliano collabora già all’Indipendente. Gli amici di Alleanza Nazionale, Italo Bocchino, Ignazio La Russa, Maurizio Gasparri, tutta una famiglia, dimentica la sbandata liberale e lo abbraccia nuovamente. Viene chiamato a Il Roma, ma mentre è a Il Roma, grazie ad An, si apparta con Forza Italia e riesce a farsi candidare nel 2001, nel miglior collegio di Napoli, Chiaia-Vomero-Posillipo. Viene battuto dall’avvocato Vincenzo Siniscalchi, candidato con la sinistra. I suoi amici di destra non sapevano nulla della candidatura. Lo scoprono e rimangono senza parole. Era già Genny Verne: ventimila leghe sotto il Tirreno. Sconfitto alle elezioni torna a collaborare a Il Roma, perché, a Napoli, un editoriale non si nega a nessuno, nonostante il secondo tradimento a destra. Prende in mano la redazione romana di Libero, grazie all’aiuto di Gasparri. Non gli basta. Vuole andare in Rai. E ci riesce, ma grazie a Forza Italia (ancora) che intercede con Flavio Cattaneo, allora dg Rai e oggi attuale ad di Enel. Per irrobustire il cv, e preparare il salto in Rai, Sangiuliano viene promosso vicedirettore di Libero. La vicedirezione gli permette di essere assunto come inviato Rai del Tgr, ma su Napoli, dove garantisce, sempre a Forza Italia, di rimanere per difendere le ragioni del partito.


Il giorno della sua assunzione, la Rai proclama uno sciopero. Dopo un anno si fa trasferire da Napoli a Roma tanto che i rappresentanti di Forza Italia napoletani chiedono: “Ma come? Non dovevi difendere le ragioni del partito a Napoli?”. Transita dal Tgr al Tg1, caposervizio, caporedattore, ma questa volta lo fa in quota An. Ne diventa perfino vicedirettore: “Ho avuto la stanza di David Sassoli”. Ha composto inni pure per Gianfranco Fini tanto che Fini gli diceva: “Gennaro, anche meno”. Ogni promozione di Sangiuliano corrisponde a un partito scaricato e un altro afferrato. Tarzan, al confronto, era un pensionato. Con servizi su misura, l’arte del soffietto, riesce a fare dimenticare la sua candidatura sciagurata. Il suo nome gira come possibile candidato per la regione Lazio, Campania tanto che nel 2021, baldanzoso, riconosce: “E’ vero. Mi hanno candidato ovunque ma io resto fedele alla mia passione, il giornalismo”. Si inventa all’interno dell’Usigrai, il politburo dei giornalisti Rai, la corrente anti Usigrai, Pluralismo e Libertà, insieme a Paolo Corsini e Giuseppe Malara. Sangiuliano è stato anche allievo del giurista Guido Alpa. Ha dato esami di diritto con Giuseppe Conte, il leader del M5s, che alla Camera ora prende sotto braccio. Nel 2018 viene nominato direttore del Tg2, ma lo diventa, e siamo a quattro partiti, in quota Lega. Seduce Matteo Salvini con la sua biografia su Putin, biografia che dice Sangiuliano, “ha venduto centomila copie”, e che gli ha permesso di acquistare il box auto rinominato anche il “box Putin”. E’ il suo vanto. Il box. Il Tg2 viene definito Tele Visegrad. Gaffe, servizi sballati, ma la fede, in quel momento è salda. In realtà non era fede. Erano solo i sondaggi che dicevano: meglio buttarsi sulla Lega. Nasce il governo gialloverde e per Sangiuliano il direttore di rete, di Rai2, Carlo Freccero, quota M5s, è “un fratello”.

 

Negli stessi anni invita Giorgia Meloni al Tg2 Post, la rubrica serale, il suo bancone da pub. Ricorda un deputato: “Stavo per assumere un ruolo importante e venivo regolarmente intervistato dal Tg2, quando quell’incarico non l’ho raggiunto, chiamavo al Tg2, ma a quel punto non rispondeva neppure la segretaria”. Non appena FdI vola nei sondaggi, Sangiuliano riscopre l’antico amore. E’ alla convention di FdI del maggio scorso. La partecipazione gli costa una lettera di richiamo dalla Rai. Il 24 settembre, da direttore del Tg2, intervista Meloni e le fa la domanda: “Lei potrebbe essere il primo presidente donna della storia repubblicana. E’ un riscatto per tutte le donne italiane?”. A Meloni alcuni amici hanno chiesto: “Ma perché tra tutti i possibili ministri della Cultura, hai scelto proprio Sangiuliano?”. La sua risposta: “Ha una qualità unica. E’ il solo intellettuale di destra che non vuole piacere alla sinistra. Sangiuliano non ha bisogno di essere qualcos’altro. Sangiuliano vuole essere solo Sangiuliano”. E Sangiuliano infatti si trattiene. Dietro quel viso morbido nasconde la sua vera natura, come si nasconde dietro ai libri, come gli inquisitori spagnoli si nascondevano dietro al crocifisso. Dietro c’è il fondamentalismo. Il suo ministero lo intende come il Santo Uffizio. Non brucia libri, ma brucia di vanità. La sua rubrica telefonica l’ha usata da direttore come la corda di Juan Lopez De Cisneros in Morte dell’Inquisitore (lo avrà sicuramente in uno dei suoi scaffali). Quando un leader era politicamente al tramonto, Sangiuliano la stringeva, la stringeva. Stringeva lo spazio della sua agenda. E va detto che Sangiuliano è perfino meglio di chi gli ha fatto credere che le sue paginate, color salmone, erano pari a quelle di Giuseppe Pontiggia o dello storico Rosario Romeo. Esiste un peccato e una comunità intera se n’è macchiata. E’ il concorso esterno in associazione vanagloriosa. Le accortezze che gli venivano riservate erano in verità solo carezze tra colleghi. La solidarietà tra compagni di mestiere l’ha scambiata per vera critica letteraria. Non è mai riuscito neppure a dire “grazie”. Per non dire “grazie” usava il sostantivo “magnanimo”. Al posto di “bravo” ribaltava con “attenti, è pericoloso”. E’ stato, per anni, applaudito da chi sottovoce  lo derideva. Appena si avvicinava: “Gennaro, sei stato magnifico. Bravissimo!!!”. Sarebbe bastata una amorevole pernacchia e invece gli conferivano il Ventilatorino d’oro: “Bravissimo”. Ha ragione Meloni. Per Sangiuliano è poco pure Croce. Sangiuliano adesso legge solo Sangiuliano.

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio