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Meloni costretta a inseguire le sparate dei suoi ministri e dei big di FdI: “Servirebbe il bavaglio”

Simone Canettieri

Da La Russa a Sangiuliano fino a Nordio: la presidente del Consiglio cerca di dribblare le polemiche. Gli altri alleati, invece, a partire dalla Lega di Matteo Salvini dopo un inizio scoppiettante hanno iniziato a pesare i silenzi

“E mo questa chi l’ha detta?”. Gli occhi iniziano a ruotare vorticosamente e si accende con avidità una sigaretta. E’ la reazione – edulcorata – di Giorgia Meloni appena le leggono o le arriva sul cellulare l’ultima uscita di uno dei tanti “incontinenti”. I ministri, e i big, che non si trattengono, che alla fine comunque la devono dire, la sparata dal sen fuggita. “A certi andrebbe messo il bavaglio”, dicono a Palazzo Chigi con una rassegnata consapevolezza: se c’è una polemica, inutile e buona per i giornali, il novanta per cento delle volte è marchiata Fratelli d’Italia, tra politici e tecnici d’area. Gli altri alleati, invece, a partire dalla Lega di Matteo Salvini dopo un inizio scoppiettante (tipo il ministro Giuseppe Valditara) hanno iniziato a pesare i silenzi. A rispondere “no comment” o semplicemente a tirare dritti davanti ai taccuini. Sarà forse un problema di comunicazione o di vanità, ma il meccanismo è sempre lo stesso. E allora Carlo Nordio, nonostante specifichi che non fa parte del programma, interviene per giorni sulla rimodulazione del concorso esterno in associazione mafiosa mentre la premier sta andando al Quirinale e poi si ripete anche in un’intervista. Il presidente del Senato Ignazio La Russa, vabbè, è diventato un genere letterario e tutti gli hanno spiegato che meno parla, del figlio e di Resistenza, di gay e di calcio, e meglio è. Tanto che da ieri ha iniziato a far uscire note firmate dal suo staff che annunciano il suo silenzio sul caso che scotta. Daniela Santanchè, che è l’esuberanza fatta persona, pure l’altro giorno per difendersi ha tirato fuori la storie delle querele e del “gruzzoletto” che vuole racimolare.

Ecco perché Meloni ascolta queste parole e si accende una sigaretta.

Ieri ha deciso proprio di staccare per il fine settimana. Francesco Lollobrigida, che pesa quasi come un vicepremier, tra sostituzione etnica e il patriota Manzoni difensore della famiglia, dà l’impressione di essere una sorta di ChatGpt della facile polemica. Con Meloni è portatore di un’intelligenza collettiva, solo che lei magari certe cose le pensa, ma lui invece le dice. Ragionamento che vale anche per Giovanbattista Fazzolari, per anni un po’ ideologo e Mogol di colei che diventerà presidente del Consiglio. Bum, bum. E parte la rumba. Nei peggiori dei casi  interviene il Quirinale, i rulli dei siti non parlano d’altro e la premier è costretta a precisare e smentire, battere e levare. Incontinenti d’Italia, come Gennaro Sangiuliano, polemista con Prezzolini nel cuore “e Dante fondatore del pensiero di destra” in testa. L’ultimo iscritto al club è il pacato Andrea Abodi, finito nel girone degli omofobi in un momento di noi. Sono polemiche come il latte fresco, dunque con la data di scadenza, ma l’impressione che circola a Palazzo Chigi è che alla fine siano tutti “affanni evitabili”. Centralizzare la comunicazione è l’obiettivo, finora non riuscito, degli stretti collaboratori della premier. Nel governo l’ipotesi rimpasto, più prima che poi, magari a ridosso delle Europee, non è peregrina. Così com’è possibile che alla fine qualche incontinente venga promosso a Bruxelles per essere rimosso o semplicemente accompagnato alla porta dalla cronaca. Meloni intanto fuma e maledice un “diffuso tafazzismo gratuito” visto che “poi la faccia ce la metto sempre io”. Nel frattempo notizie di normale amministrazione: si tratta su come gestire l’abuso d’ufficio nel ddl giustizia dopo le raccomandazioni del Quirinale di ieri l’altro (c’è il no di Forza Italia). Carlo Nordio e il sottosegretario Alfredo Mantovano si vedranno nei prossimi giorni per chiarirsi su questo aspetto, e magari anche sulla polemica che riguarda il concorso esterno (su cui insiste anche Antonio Tajani e dunque FI). “Non si poteva evitare?”, si chiede Meloni mentre si accende l’ennesima sigaretta.

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.