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codice espressivo

Il fumetto divenuto arte di governo

Giuliano Ferrara

Meloni come Minnie, Santanchè come Eva Kant, il presidente del Senato Dylan Dog, il ministro della Difesa manga. Come fantasie e nuvolette sono diventate espressione dell’attualità politica

Una presidenta minuta che si lamenta dei tacchi in conferenza stampa, perché indolenziscono i piedi, e poi entra e esce fulminea da una photo-op con i cosiddetti grandi della Terra, è un fumetto Disney. Minnie. Una ministra del Turismo che si difende in Parlamento chiamando in causa perentoriamente chi ha prenotato un lettino nel suo stabilimento balneare è un fumetto di Angela e Luciana Giussani. Eva Kant, maestra del mascheramento. Un presidente del Senato che “interroga” suo figlio su una seria circostanza penale notturna è un fumetto horror, non si dica un manga, ma almeno un Dylan Dog indagatore dell’incubo. Un ministro della Difesa gigantesco che mette la sua mole e sapienza democristiana al servizio del fascismo liberale, mentre gli scoppiettano intorno le armi e sfavillano le parate, è un fumetto. Un Titano dark fantasy scritto da Hajime Isayama. Anche chi non conosca i codici espressivi del fumetto sa che il racconto illustrato con le sue nuvolette di parole perfino troppo semplici, tipo quelle di un Delmastro Delle Vedove o di un Donzelli, condòmini fumettistici parecchio anche loro, non vogliono saperne di essere considerati una letteratura minore: i giornaletti o albi, le historietas o comic book, sono per molti parte decisiva dell’universo culturale del Novecento, e prima e oltre il limite del secolo hanno una lunga storia, sono un trionfo modernista e contemporaneista della semiologia. Non c’è dunque banale irrisione delle istituzioni nella considerazione fumettistica della nostra attualità politica. 

 Sta di fatto che l’atmosfera del nuovo regime frutto della benedetta alternanza, e deciso dagli elettori secondo le regole della legge elettorale, ha confuso avversari e sostenitori allo stesso titolo, e procede come un’infilata di cartigli con disegni similpop uno più sorprendente dell’altro. C’è anche Beatrice Venezi, soprannominata bacchetta nera da Roberto D’Agostino e qui incoraggiata a eseguire Bella ciao dal grande Makkox ventriloquo di Meloni, che dirige a Lucca il pucciniano Inno a Roma (“Sole che sorgi / libero eee giocooondo”), con un valzer d’intorno di amministratori e sovrintendenti riluttanti ma presenti, oppure polemicamente assenti, e tutti a ricordare il giudizio depressivo del Maestro sulla sua propria musica innologica: “Una porcheria”, diceva, che però piacque a Benito Mussolini e a Giorgio Almirante.  (segue a pagina due)

Il fumetto italiano ha ora il suo pentagramma. Nel quale va compresa, ça va sans dire, La Bohème comunista, eseguita ieri da quelle parti e ambientata nel Maggio francese 1968, vedremo con quante adulazioni o strepito e proteste melomani e melonomani. 

Ce la caviamo perché non ci siamo fatti fregare, ancora una volta, dal concetto di classe dirigente e dalle sue dolenti costrizioni stilistiche. Dopo i fasti gentili di Paperon de’ Paperoni, che hanno messo fine alla tragedia dei partiti anni Settanta, dilatandola e diluendola, è la volta di Minnie e altre fantasie e nuvolette. Che tutto questo avvenga in una successione ordinata, equilibrata e democratica di vignette lineari e tranquillamente leggibili nella compassata Europa mercantile, con il pasto solitario di Mario Draghi a Fiumicino (nuvoletta) e le sue conferenze a Cambridge che fanno testo e scuola (o squola) al mondo governativo delle Santanchè, dei La Russa, dei Delmastro Delle Vedove e delle Beatrice Venezi, dalle deleghe fiscali gradite al riformismo di centro al trascinante mito del debito buono, invenzione geniale di un uomo geniale, ecco poi la vera sorpresa. Non è la politica che è diventata un fumetto, è il codice espressivo e significante del fumetto che è diventato arte di governo dello stato

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.