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tesi a confronto

Un dialogo spiega come funziona l'Italia delle corporazioni

Sabino Cassese

In crescita il fatturato delle società di lobbying: gli interessi organizzati vogliono far sentire il loro peso. Un bene, dice il Corporativo: la politica non basta. Attenti ai pericoli incombenti, ribatte il Politico

E’ un settore che non conosce crisi, quello delle società di “lobbying”. Il loro fatturato è esploso. Nella storia dell’Italia repubblicana sono state presentate decine di proposte di legge per regolare il settore. Nessuna è andata in porto. Il ministero dello Sviluppo economico, nel 2017, introdusse un registro pubblico per assicurare la trasparenza, al quale si iscrissero circa 600 società, alcune per far sentire direttamente la loro voce, altre per farla sentire attraverso i propri rappresentanti. Questo è il segnale che gli interessi organizzati vogliono far sentire il loro peso.

Questi dati vanno accolti con preoccupazione, perché sono il segno di una forte presenza di corporazioni, di un’Italia corporativa? O, al contrario, con soddisfazione, perché sono il segno di una società civile matura, che vuol far sentire la propria voce, non necessariamente attraverso i partiti? Ascoltiamo le opposte opinioni, quella di un politico e quella di un corporativo.

Politico. C’è una vera e propria sagra delle corporazioni, il cui segno è misurato dal gran numero di norme “targate”, cioè che rispecchiano questa o quella organizzazione di settore.
Corporativo. Occorre evitare atteggiamenti puristi o moralistici. Questi dati sono il segno che la politica non basta, che la società, le sue organizzazioni, i suoi interessi, vogliono essere presenti direttamente nello spazio pubblico.
Politico. Mi pare importante rispondere a questa domanda: gli interessi hanno diritto di essere rappresentati direttamente o debbono, invece, passare per la politica, in modo che questa faccia da filtro? Se non c’è il filtro, si corrono numerosi pericoli. Può prevalere il più forte. Può aumentare la corruzione di sistema. Possono esservi coalizioni di interessi a danno della collettività, con un alto costo finanziario e sociale e con il risultato di produrre uno Stato-Arlecchino.
Corporativo. Perché viene sollevato ora il problema? Nel passato, ai tempi della tanto lamentata partitocrazia, i potenti partiti politici avevano le loro organizzazioni collaterali: la Democrazia cristiana, ad esempio, la Coldiretti, i partiti di sinistra le cooperative. Queste organizzazioni davano forse il loro appoggio ai politici per nulla?
Politico. L’idea che tutti gli interessi debbano farsi ascoltare, come sul mercato, nasconde la realtà. Di fatto, vi sono interessi più forti e interessi più deboli, interessi diffusi e interessi organizzati. Chi difende gli interessi più deboli o diffusi? Che succede agli interessi che non riescono a organizzarsi e a farsi sentire? Un altro motivo per essere preoccupati è la crescita del numero delle organizzazioni di categoria. La grande carta geografica delle organizzazioni rappresentative di interessi si sviluppa continuamente. Oggi ci sono organizzazioni di categoria agricole, artigiane, delle piccole e medie industrie, del commercio, del terziario avanzato, dei professionisti, finanziarie, di assicurazione e di riassicurazione, bancarie, editoriali. Poi ci sono le associazioni datoriali e le più note Confindustria, Confcommercio, Confesercenti, Assiturismo, Confprofessioni, l’Unione dei rappresentanti dei tassisti italiani - Uritaxi. Nel settore dei balneari, qualche ulteriore decina di organizzazioni. Poi vi sono organizzazioni che includono soggetti pubblici, come l’Associazione nazionale dei comuni d’Italia - Anci. Insomma, preoccupa questo ordinamento neo-feudale e la frammentazione degli interessi, ognuno dei quali fa sentire la propria voce, aumenta la conflittualità, quindi rallenta le decisioni, rendendo difficili tutte le mediazioni.
Corporativo. Queste riflessioni ignorano il fatto che gli interessi rappresentati sono interessi sociali, economici, culturali, anche idealità morali, che provengono dalla società civile, della quale fanno parte non solo imprese, ma anche organizzazioni religiose, gruppi di sostenitori di programmi di carattere civile, che spesso stentano a farsi sentire. Quando la politica arretra, avanza la rappresentanza degli interessi. Potrei dire che, proprio a causa della debolezza della politica, avanza l’Italia delle corporazioni. Provo a spiegarmi. Se la politica non ha rapporti con la società, salvo chiedere e raccogliere voti, se non riesce a “sentire” interessi e a farsi ascoltare da questi, se non riesce a mediare tra i diversi interessi, se non riesce a elaborare una propria offerta, se tutto questo non accade, come può, poi, la politica lamentare che si afferma l’Italia corporativa? Inoltre, c’è una differenza strutturale, nella dimensione temporale, tra politica e interessi. Questi ultimi hanno una durata ben maggiore della politica, che ha un orizzonte temporale molto limitato. Gli interessi sono temporalmente più robusti, la politica di oggi è più episodica. Gli interessi si muovono in una prospettiva almeno quinquennale, la politica sembra dominata dal quotidiano. Oserei dire che offrono maggiore sicurezza alla nazione gli interessi organizzati, piuttosto che la politica.
Politico. Queste osservazioni non tengono conto del modo in cui si fanno rappresentare gli interessi. Nel modello tradizionale, i partiti politici rappresentano gli interessi generali, i gruppi di interesse le finalità di settore. La peculiarità degli ultimi sviluppi è che partiti politici e gruppi di interesse si intersecano, invece che bilanciarsi. I gruppi di interesse sfruttano i partiti politici come canali, ad esempio verso il bilancio dello Stato, la “grande torta” alla quale tutti aspirano ad attingere. I partiti politici, a loro volta, sentono di aver bisogno dei gruppi di interesse e dànno loro ascolto, ma in questo rapporto c’è la diversità della dimensione temporale che conta. Se i gruppi di interesse sfruttano i partiti e questi ultimi utilizzano i primi, si verifica un innesto nuovo, nel quale non è chiaro chi sia il regista. L’altro elemento di novità è costituito dalla presenza del web, che cambia il tradizionale rapporto.
Corporativo. In questo rapporto incestuoso tra partiti politici e gruppi di interesse è importante vedere come si divide la classe politica, quella che sta al governo, o nelle sue vicinanze, e la parte costituita dai “back-benchers”, per lo più parlamentari frustrati che, a quanto si apprende dai documenti parlamentari più recenti, partecipano sempre di meno ai lavori delle commissioni parlamentari, dove passano le più importanti decisioni. Questi vogliono il loro spazio di manovra. Di qui la pratica di riservare nelle principali leggi di spesa e, comunque, nel bilancio di previsione, proposti necessariamente dal governo, una somma che possa soddisfare le richieste dei parlamentari, richieste che per lo più provengono dai gruppi di interesse.
Politico. Sarebbe interessante ricostruire la geografia del corporativismo italiano. Intanto, bisognerebbe mettersi d’accordo sulla stessa denominazione. La più antica è corporazioni. Poi sono state usate espressioni come gruppi di interesse, “lobbies”, “stakeholders”. Molte categorie internalizzano la funzione, molte altre la esternalizzazione facendo capo a strutture professionali, che quindi operano per gruppi di interesse diversi. Quindi, la prima diversità è di carattere strutturale. Poi ce n’è un’altra, di carattere funzionale. Vi sono gruppi che accentuano l’aspetto che consiste nel comunicare, far conoscere, convincere; altri che accentuano, invece, l’aspetto dell’influenzare e orientare. Quindi, vi sono modi diversi per rappresentare gli interessi. Inoltre, si diffondono anche in Italia pratiche molto note alla democrazia americana. Una è il cosiddetto “pork barrel”, la pratica di inserire vantaggi per le proprie “costituencies” all’interno dei provvedimenti “omnibus”, accentuata specialmente dalle politiche distributive del mondo della politica italiana. Un’altra è il cosiddetto “logrolling”, che è una funzione “orizzontale,”, perché si realizza quando ciascun attore, nel settore che non gli interessa direttamente, viene incontro alle richieste di un altro protagonista, sapendo che potrà contare sul suo favore, quando si tratterà di decidere quello che gli sta cuore (queste pratiche della democrazie americana sono ben illustrate nel volume di Maurizio Cerruto, “Politiche pubbliche. Vincoli, attori e idee”, Milano, Mondadori università, 2022).
Corporativo. Non bisogna sottovalutare che interessi organizzati esistono anche all’interno della macchina statale. Quindi, quest’ultima non è aggredita soltanto dalle corporazioni esterne, ma anche da quelle interne. Da un lato, infatti se le associazioni dei commercianti e degli artigiani fanno sentire la propria voce, perché non dovrebbe farla sentire anche l’associazione dei magistrati? Dall’altro lato, si obietta che commercianti e artigiani non esercitano una funzione pubblica, mentre i magistrati la esercitano, e anzi hanno il potere di limitare la libertà dei cittadini. Pur con queste differenze, le organizzazioni e gli interessi interni allo Stato fanno sentire la loro voce nello stesso modo delle organizzazioni esterne. Questo è un punto che nessuno mette in luce e che è anche all’origine delle debolezze della politica. Di recente, Pier Ferdinando Casini – “C’era una volta la politica. Parla l’ultimo democristiano”, Milano, Piemme, 2023 – ha osservato, per il politico che ha dominato l’ultimo quarto di secolo della politica italiana, che “Berlusconi stravinse le elezioni, ma non riuscì mai a governare”.
Politico. Non bisogna dimenticare la Costituzione. Questa relega la rappresentanza di interessi all’interno del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, che svolge solo una funzione di consulenza e raccoglie le categorie produttive, oltre che gli esponenti della cultura economica, sociale e giuridica. Non si può dire un organo centrale della nostra Costituzione e del nostro sistema politico.
Corporativo. Questa osservazione ci porta al modo in cui è stata concepita la rappresentanza. Un lungo dibattito che si è svolto durante più di un secolo ha riconosciuto eguale legittimazione alla rappresentanza politica e alla rappresentanza di interessi e le scienze giuridiche si sono affannate nell’identificare il “quid proprium” della rappresentanza politica, definendola rappresentanza di volontà. La rappresentanza politica non costuituisce un “congresso di ambasciatori”, per adoperare l’espressione usata da Edmond Burke nel discorso del 1774, a Bristol, ai suoi elettori. I parlamentari sono scelti per esprimere la loro imparziale opinione, il loro maturo giudizio, per far parlare la loro illuminata coscienza,  disse quel grande parlamentare inglese. Dopo di allora, molte opinioni sono state espresse sul concetto di rappresentanza politica. Ad esempio, Vittorio Emanuele Orlando, nel 1889, la definì una “designazione di capacità”. Ma che cos’è la rappresentanza di interessi? Si può dire che essa sia una rappresentanza, secondo il criterio proprio del diritto privato, a differenza di quella politica, oppure che anch’essa è diversa dalla figura definita dal codice civile come rappresentanza?
Politico. Non mi avventuro su questo terreno infido, ma voglio ricordare che c’è poi il problema della trasparenza e della disciplina della registrazione delle “lobbies”. Risale al 2016 il codice di condotta della Camera dei deputati, con la regolamentazione dell’attività di rappresentanza di interessi, e al 2017 la costituzione, da parte dell’ufficio di presidenza, del registro, al quale risultano iscritte 333 persone giuridiche e 65 persone fisiche. Il Senato, a sua volta, con le modifiche del regolamento del 21 dicembre 2017, ha previsto un codice di condotta. Al gennaio 2022 si è fermata la proposta di legge relativa all’istituzione di un registro per la trasparenza e di un comitato di sorveglianza presso l’Autorità garante della concorrenza del mercato. In Italia, siamo indietro. Basta ricordare che nell’Unione Europea c’è un unico registro della trasparenza per il Parlamento, il Consiglio e la Commissione, e un codice di condotta per chi si registra. L’ufficio del registro deve presentare un rapporto annuale ogni anno. Nel 2021 risultavano registrati 13.366 soggetti, 12.425 nel 2022, consistenti in studi legali e consulenti, lobbisti in senso stretto, associazioni e gruppi professionali, organizzazioni non governative, istituzioni di ricerca ed accademiche, organizzazioni religiose e rappresentanti di enti locali. E’ interessante notare che il 6 per cento era composto da soggetti italiani, 10 per cento francesi, 13 per cento tedeschi e 7 per cento spagnoli.
 

Corporativo. Tutto questo non tiene conto del fatto – che, a mio modo di vedere, è molto importante – costituito dalla sviluppo, dalla metà del secolo scorso, della rappresentanza degli interessi non negli organi, come nella Camera dei fasci e delle corporazioni, ma nelle procedure, come nella nota procedura di “notice and comment” prevista dall’”Administrative Procedure Act” americano del 1946. Quest’ultima legge, che ha avuto una grande influenza in tutto il mondo ed è stata copiata da molti altri ordinamenti nazionali, era stata adottata come reazione alla legislazione di regolazione e pianificazione del “New Deal” di Franklin Delano Roosevelt, che costituiva a sua volta una reazione alla grande crisi economica scoppiata a Wall Street nel 1929. Si pensava che i più pesanti interventi statali potessero essere compensati dal “dialogo” preliminare tra regolatori e regolati. Si trattava di consentire ai regolati di far valere, prima dell’adozione di concreti provvedimenti amministrativi, i propri interessi. Questo modello mima la procedura giudiziaria, anche se interviene in una fase precedente alla decisione statale. Una disciplina di questo tipo è stata adottata in Italia nel 1990, ma non ha avuto l’impatto di quella statunitense del 1946. Debbo aggiungere che ancor minore è la trasparenza dei rapporti tra rappresentanza degli interessi e poteri pubblici a livello non statale, regionale e locale. E’ responsabilità della politica di non aver regolato questi interessi. Quindi, i partiti politici non possono scaricare la responsabilità della scarsa trasparenza sui gruppi di interessi.

 

Politico. Se posso allargare il discorso, ma non per giustificare una mancata scelta fatta dai partiti politici, aggiungo che, su tutto ciò che riguarda la società civile, nel periodo repubblicano, durante tre quarti di secolo, la politica è stata particolarmente silente. Mi riferisco alla mancata disciplina legislativa, pure prevista dalla Costituzione, dei sindacati. Mi riferisco a quella legge sui partiti politici che i costituenti pensavano dovesse essere adottata per dare attuazione all’articolo 49 della Costituzione. Mi riferisco alle fondazioni e associazioni che, regolate dal diritto privato, tuttavia collaborano numerose all’esercizio di funzioni pubbliche. Tutta quest’area è rimasta immune da normative, con conseguenze in parte paradossali. Ad esempio, la giurisprudenza relativa ai partiti è sostanzialmente fondata sul codice civile e solo sull’aspetto del partito come associazione, non su quello del partito come soggetto che svolge una funzione pubblica, anzi una funzione pubblica essenziale, come quella di assicurare la rappresentanza politica.

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