Ciaone, vecchi amici. Ecco il predellino europeista che ora serve a Meloni

Claudio Cerasa

Meno Orbán, più Macron. Meno Le Pen, più Scholz. Meno Trump, più Ppe. La premier ha capito che la credibilità della sua destra è legata alla rimozione delle sue amicizie tossiche. I passi fatti e la svolta possibile in Europa (senza Salvini)

Meno Giorgia più Silvio uguale Meloni. La scomparsa di Silvio Berlusconi prima e le nuove geometrie delle amicizie europee poi hanno costretto il partito di Giorgia Meloni a ragionare con urgenza su un tema importante che non riguarda solo il passato, ovvero la generica eredità del Cav., ma che riguarda il futuro, e in particolare un punto dirimente nell’agenda politica del presidente del Consiglio, che potremmo sintetizzare con una raffinata, dotta e ricercata espressione, fatta di due parole: “E mo?”. Il tentativo di proiettare verso il futuro la traiettoria del partito di Meloni va collocato all’interno di un contesto politico caratterizzato da una nuova consapevolezza perfettamente sintetizzata qualche giorno fa sul nostro giornale da Marcello Pera: il dovere da parte di Meloni di rispondere al vuoto generato dalla scomparsa di Berlusconi con una modernizzazione del suo partito. Ma cosa vuol dire modernizzare? La presidente del Consiglio non sarà d’accordo con noi, ma finora la sua traiettoria ha mostrato con chiarezza una direzione che forse non farà piacere ai suoi follower ma che merita di essere inquadrata per quello che è: una costante, lenta, progressiva emancipazione dal proprio passato.

  

La cifra di Giorgia Meloni è stata propria questa: lavorare al suo nuovo profilo, rendendolo credibile, affidabile, rassicurante, attraverso un progressivo allontanamento dai suoi amici di una vita. Il primo allontanamento brusco, è stato quello portato avanti ai danni di Donald Trump. Prima delle elezioni dello scorso settembre, il trumpismo era la Mecca del populismo. Dopo quella data il trumpismo è diventato un tabù. E sono mesi che la premier evita accuratamente di citare nei suoi discorsi l’ex presidente degli Stati Uniti. C’entra la differenza di vedute sull’Ucraina, ovvio, ma c’entra anche una consapevolezza: l’internazionale del populismo ha fatto il suo tempo e occorre fare un passo nel futuro.

 

Un secondo allontanamento brusco messo in campo da Meloni è stato quello portato avanti ai danni di Viktor Orbán. C’è stato un tempo in cui Meloni considerava Orbán il faro della destra italiana. Un tempo in cui Orbán era ospite fisso delle convention meloniane a Roma, ad Atreju. Quel tempo è finito. E’ finito allo scoccare dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, ed è da quella data che Meloni ha scelto di non farsi più fotografare con Orbán. Ed è finito, quel tempo, anche in Europa, considerando la scelta fatta da Meloni al Consiglio europeo: votare sul patto sui migranti con i nemici di un tempo (la Francia di Macron, i socialisti di Scholz) schierandosi contro gli amici di sempre (il camerata Orbán).

  

Un terzo allontanamento brusco messo in campo da Meloni è stato quello mostrato giorni fa all’Eliseo, quando la leader di Fratelli d’Italia, di fronte a Macron, ha rinnegato tutta la piattaforma lepenista, contraddicendo il messaggio chiave della rivale di Macron: per governare l’immigrazione serve più Europa, non meno Europa. Utilizzare i tradimenti politici meloniani per mostrare le svolte impresse dalla leader di Fratelli d’Italia alla sua traiettoria politica può essere utile per mostrare il modo in cui il rapporto con gli amici di un tempo sia diventato per Meloni la misura per valutare la sua distanza dal populismo.

  

Una storia diversa, invece, è quella che riguarda Vox, che si sta avvicinando ai popolari spagnoli provando a ripetere in piccolo l’operazione fatta in grande dal centrodestra in Italia: mettere cioè insieme sotto un unico ombrello partiti europeisti e partiti euroscettici. E una storia invece non troppo diversa da quella appena descritta è quella che riguarda colui che potrebbe essere la prossima vittima della trasformazione meloniana. Lui e proprio lui: Matteo Salvini.

   

La storia è questa e riguarda l’appuntamento elettorale del prossimo giugno. Meloni vuole trovare un modo per far parte del team che governerà l’Europa nei prossimi cinque anni. Spera di poterlo fare vincendo le elezioni con le destre europee ma sa che i numeri delle destre europee non le consentiranno facilmente di veder ripetere a Bruxelles lo stesso risultato ottenuto in Italia: mettere insieme i voti di tre destre diverse per governare. Come ha detto qualche giorno fa senza timidezza il commissario all’Economia Paolo Gentiloni, “è difficile immaginare in Europa cambi di maggioranza”. E anche se la maggioranza così detta Ursula non dovesse avere i numeri per governare, “non ci si rivolgerà a forze filo Putin e antieuropeiste”. Il diavolo è nei dettagli ma i dettagli sono chiari: se l’attuale maggioranza avesse bisogno di allargarsi per trovare i voti necessari per governare, un partito fieramente antiputinianano come quello di Giorgia Meloni sarebbe bene accetto, al contrario di un partito come quello guidato da Matteo Salvini, che ha ancora in essere un accordo di cooperazione rafforzata con il partito di Putin.

 

Ci sono dunque buone possibilità che nei prossimi mesi Meloni sia costretta a fare passi in avanti, nel percorso europeo, per avvicinarsi ancora di più ai nemici di un tempo e allontanarsi ancora di più dagli amici di sempre, compreso Salvini (solo in Europa ovviamente). E ci sono buone possibilità che nei prossimi mesi, grazie al lavoro da un lato di Raffaele Fitto (ministro di Fratelli d’Italia) e dall’altro di Antonio Tajani (ministro degli Esteri di Forza Italia), Giorgia Meloni faccia un passo lontano dall’estremismo politico europeo e ne faccia uno vicino al mainstream europeista che ha sempre combattuto, avvicinandosi a poco a poco a un Ppe che Meloni ha sempre detestato e che però sarebbe disposto a fare di tutto per tenere il fronte più ambiguo sul putinismo lontano dal governo dell’Europa.

   

In questo senso, il posizionamento in Europa potrebbe essere l’occasione giusta per Meloni per lanciare un predellino europeista avvicinando la strada di Fratelli d’Italia a quella di Forza Italia, costruendo con il Ppe un rapporto simile a quello costruito in Germania dalla Csu con la Cdu, trasformando gli amici di sempre in avversari da allontanare e facendo dei nemici di una vita i compagni inaspettati di una nuova avventura politica. Meno Le Pen, più Macron. Meno Orbán, più Scholz. Meno Salvini, più Ppe.

  

In sintesi: mettere un po’ meno Giorgia (con i suoi vecchi amici) e un po’ più di Silvio (con le sue vecchie alleanze) nel motore della destra italiana significa lavorare al predellino della nuova Meloni. I primi passi sono stati fatti. E anche la premier italiana negli ultimi tempi ha capito che la credibilità della sua destra è strettamente legata alla rimozione delle sue amicizie tossiche del passato. Sarà dura ma si può fare. In bocca al lupo.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.